Rallenti?
Questa newsletter è una mia velleità e le velleità in questi giorni rischi di fartele sfuggire.
È stata la settimana delle cose veloci. Mille da fare una dietro l’altra. Però tutto sommato in linea col ritmo con cui cercavo di seguire le notizie. Appena leggevo qualcosa di nuovo non facevo in tempo a fare un refresh che la notizia cambiava e subito dopo spariva.
Tipo la Superlega, che ho cliccato su un link per accertarmi che non fosse una versione super sayan di Salvini (me lo immaginavo sulle spalle di Zaia) e già la cosa era diventata una mega polemica, poi una rivolta, poi basta, non c’era più, sparita, non la facciamo più, scusate, ora vi sanzioniamo per averla pensata.
Non mi sono potuta neanche fare un’opinione, e non perché non ne capisca di calcio. Non ne capisco, è vero, ma questo non mi ha mai fermato finora, lo sai. Il problema invece qui è che avevo assunto inizialmente una comoda posizione benaltrista, del tipo “Ma davvero stiamo parlando di calcio? Non ci stanno i vaccini oh”. Poi Marito ha provato a dirmi che forse una questione c’era, che c’era quanto meno da parlarne. Solo che non ho avuto il tempo di approfondire. È passata così, in 24 ore.
E mi sa che sta diventando uno standard ormai. Una cosa viene detta, diventa gravissima e poi in uno o due giorni non c’è più, scemo chi legge tipo. Ma ti ricordi Astrazeneca? Facciamo il vaccino, è sicuro. Attenzione si muore. Ritiriamolo. No vabbè si può fare tranquilli. Tutta la parabola in quanto, 48 ore? E quanto tempo fa è successo poi? Un anno? Pochi giorni? È il tempo ad andare più veloce o è lo spazio che si è esaurito? Siamo pieni?
Il consiglio prezioso
Segui il flow: Sterzare di fronte agli ostacoli è l’unica cosa che puoi fare se non riesci a frenare.
Riflettevo
Io poi le cose veloci le amo fino a un certo punto. Non mi piace andare di fretta. Mi confondo, mi sento insicura. Mi piace piuttosto riflettere, organizzare, ricontrollare e poi partire, quando tutto sembra chiaro. Sono infatti la fruitrice perfetta di questo tipo di articoli.
Ci sono delle cose ad esempio per cui non mi sento ancora pronta. Tipo lo schwa. È colpa mia, te lo dico subito. Anche perché non è che non ne approvi l’uso, ci mancherebbe, mi convince pure. Lo preferisco agli asterischi e alla scomodità dell’uso di “care/i tutte/i”. Però non mi sento pronta. Mi sembra una cosa più grande di me, un atto politico, e invece vorrei che fosse tutto ben definito e chiaro prima di adeguarmi (a quel punto senza fiatare, giuro). Perché sono sicura che avrò mille e più dubbi nel muovermi su un terreno ancora sconosciuto, ma soprattutto tanti inconvenienti. Considera che già mi trovo a fare copia e incolla da google ogni volta che devo usare la “È”.
Il problema vero però è che io di mio non mi sento una rivoluzionaria. Sono una persona prudente. Non ho problemi a cambiare idea ma non me la sento troppo di influenzare quelle degli altri, di fare da apripista. Ho bisogno di un imprimatur, di qualcuno che ne sappia più di me e che abbia valutato, verificato e poi approvato. A quel punto sono disposta a correre.
Insomma il rischio non è il mio mestiere. O meglio, non è che io i rischi li eviti del tutto ma preferisco calcolarli, tenerli a bada. Non gestirli davvero ma contenerli piuttosto. Ha senso? È sempre rischio se lo controllo? Ad ogni modo la cosa è peggiorata nel tempo. Sia la prudenza che la mania del controllo. Ma pare sia normale, sto invecchiando.
E per farmi male guardo video come questi, che non aiutano ma che trovo di grande intrattenimento.
Visto letto sentito 🙈🙉🙊
Femminili Singolari - Vera Gheno
Per dimostrarti che la mia titubanza sullo schwa non è un’avversione generica verso le questioni linguistiche sul femminile, che invece mi appassionano molto, ti parlo di Femminili Singolari di Vera Gheno.
L’ho trovato interessante principalmente per due motivi. Il primo è che ti spiega perché è importante declinare al femminile il nome delle professioni. Perché l’uso delle parole incide eccome sulla questione femminile.
Il secondo è che smonta tutta l’intolleranza verso la questione. Cioè leggendolo non solo capisci come mai architetta, ministra e sindaca non sono parolacce ma sai anche come rispondere a chi ti dice che lo sono. Il libro infatti mostra una (forse un po’ lunga) carrellata di post di gente incazzata e indignata nei confronti di queste “nuove parole”. Ma la differenza la fanno le risposte razionali e misurate di chi con competenza spiega che ministra non è cacofonico se non lo è anche maestra, che ingegnera va bene tanto quanto infermiera, che portiera non è l’unica parola polisemica nel vocabolario, che non ha senso l’argomentazione del richiamo a “tetta” nel termine architetta a meno che non ci si voglia porre il problema anche per le parole “benefica” o “penale”.
Del tema della declinazione al femminile dei nomi professionali ti avevo già parlato in occasione della presa di posizione di Beatrice Venezi a Sanremo. E ti avevo citato proprio un articolo di Vera Gheno. Quello che trovi in più in questo libro è una panoramica su quanta voglia ha la gente di incazzarsi sui social, senza averne motivo o strumenti. E però quanto è facile smontare queste posizioni se si riesce a mantenere la calma.
Pinkabbestia
Solo qualcosa di rosa
Du spicci
Ti serve sicuro.
Monki - € 25
Guilty Pleasure
Sì, ti ho detto che sono stata un po’ travolta dagli eventi questa settimana. E ieri è stato anche il compleanno di Marito, quindi non ho avuto molto tempo per scrivere.
Il guilty pleasure perciò questa settimana manca. O forse è proprio la scusa, il non aver fatto i compiti, a essere il vero guilty pleasure. Un meta guilty pleasure, se mi lasci arrampicare sugli specchi in santa pace.
Ma sono sicura che capirai e mi perdonerai appena vedrai la confezione regalo che ha dovuto scartare ieri Marito. No, non ha chiesto il divorzio. Dai su, è stupenda.
Saluti
Questa newsletter è una velleità che continua a correre. Prenditi il tempo di seguirla su Instagram e condividerla con chiunque la sappia apprezzare.