Uh sì, certo, eccola. Non la ricevi da un po’ perché avevo più o meno deciso di smettere. Non volevo più scriverla, inviarla, parlarne, spingerla sui social, aspettare feedback, sentirmi ansiosa, poi felice, poi dubbiosa, poi frustrata, poi di nuovo felice, poi insicura, poi, poi, poi.
Ma poi ci sono state le elezioni e, anche se non ho alcuna intenzione di parlare di politica oggi (e forse per i prossimi 5 anni), mi sono spaventata all’idea di non poter più contare su questa stampella emotiva.
In ogni caso io non sono molto brava a smettere e, se ci riesco, sono invece abilissima a ricascarci e ricominciare. Quindi rieccomi.
Il consiglio prezioso
Destruction Is A Form Of Creation: La fine o il fine, non fare confusione.
Riflettevo
Non sono molto brava a smettere, esatto, però sono abbastanza incline alla resa. Mi arrendo e mi arrendo spesso.
Non è una cosa di cui vado fiera, certo, soprattutto quando mi arrendo per i motivi sbagliati. Oddio, io lì per lì non li considero mai sbagliati ma il dubbio invece dovrei averlo, considerato lo sforzo puntuale che chi mi sta vicino fa per smontarli e la ricorrente presa di coscienza a posteriori da parte mia.
Allora diciamo così, i motivi per cui mi arrendo sono sbagliati se visti dall’esterno e dal futuro. E non so tu ma io fatico molto a vedere le cose dall’esterno e dal futuro.
E forse dovrei colmare questa lacuna, considerato che, mentre io me ne stavo qui a pensare se chiudere definitivamente o no questa newsletter, una sonda nel frattempo stava speronando un asteroide per dimostrare che l’umanità è perfettamente in grado di scongiurare un armageddon. Vabbè sì, quell’armageddon lì specifico. Perché poi ce ne sono tanti altri ancora pending, e forse già più visibili all’orizzonte, su cui mi sembra non possiamo definirci esattamente a buon punto.
Ma in fondo, mi dico, un armageddon vale l’altro e comunque è sempre utile scongiurarne uno a caso, a maggior ragione se è il più cinematografico. E poi è troppo facile criticare: metti che tra un anno arriva davvero questo tipo di minaccia, non ci diciamo sempre che le catastrofi bisogna prevenirle?
Allora anch’io faccio il mio tentativo per scongiurare il disastro, l’armageddon della newsletter.
E guardo al mio di asteroide, che è l’inarginabile necessità di un’approvazione esterna, la voglia matta di un riscontro, l’incapacità di trarre soddisfazione da una cosa, anche quando mi piace farla, se questa cosa non riceve a un certo punto un bollo, un certificato, un imprimatur. E non mi basta che qualcuno mi dica uh che bello. No, l’approvazione mi deve arrivare tipo da un oracolo, deve provenire dal divino.
Ti stupirà ma mi imbarazza sempre un po’ illustrare questa faccenda dell’investitura ultraterrena, e per questo spesso mi incarto quando cerco di spiegare la mia frustrazione a qualcuno.
Eppure le persone che mi circondano non si scoraggiano e si calano nella parte, diventando così il mio team di scienziati, tutti concentrati a salvare il pianeta 40circacirca, mentre io in fondo nutro un po’ la speranza che mi dicano di rassegnarmi, che non c’è più niente da fare.
Stacco. In un film non seguiremmo per intero il brainstorming, gli studi e tutte le soluzioni proposte. Quindi saltiamo qualche scena e arriviamo a me davanti alla lavagna con la lista di tutti i suggerimenti che ricevo. Ecco, quando li guardo lì elencati tutti insieme, validi, giusti, equilibrati, mi sento poi così esposta che la conclusione a cui arrivo è comunque che io sono un disastro e la newsletter è spacciata.
Catastrofista? Banalmente di coccio? Sì, ma il mio personaggio è così. Vuoi che ti racconti in dettaglio di un sogno lunghissimo che ho fatto di recente in cui assistevo a una specie di sfilata di tutte le cose che odio di me?
No, te lo risparmio, guarda. I sogni sono una scappatoia troppo facile per risolvere una trama. Quindi piuttosto restiamo senza un finale. La trama qui del resto è circolare perché, per quanto dovrebbe bastare il piacere di fare una cosa, quel piacere dura un certo lasso di tempo, poi svanisce e a un certo punto ci manca, così magari si riaccende e dura un altro po’ ma poi riecco di nuovo un fastidio, una sensazione di isolamento, un’istanza che si fa fatica a rivendicare perché il solo fatto di rivendicarla apparentemente ci svilisce come persone. A muoverci dovrebbe essere solo il piacere, puro e incondizionato, una passione totalizzante e scevra da ogni ambizione, altrimenti ecco che quella passione diventa volgare strumento.
Ecco, boh, io questa passione assoluta non credo di averla mai provata, neanche nei confronti di un hobby. Anche quando sbandiero in giro quanto mi piace e mi fa stare bene lo yoga, nel nucleo più profondo del mio animo meschino, rosico se dopo due anni non sono ancora diventata una contorsionista. Lo so che non è quello che dovrei cercare, lo so che non dovrei chiedermi a che posto mi colloco nell’inesistente classifica dell’aula ma è più forte di me. E rimbombano i Sono brava? Sono brava? Sono brava?
E se prima invidiavo chi questa passione dice di averla - che nervi poi quando la si definisce urgenza - ora non mi fido più, non ci credo. Magari sbaglio ma almeno mi assolvo. E cerco piuttosto di capire cos’è che rende così fragile quello che dovrebbe essere il motore di tutto, il pilastro su cui poggia l’impegno, il sacrificio e l’abnegazione. Potrebbe essere la necessità di definirsi? E perché in età adulta si è ancora alla ricerca di una definizione di sé? Ma serve poi questa definizione? No. Eppure io la trovo indispensabile.
E anche diffusa, tanto che la riscontro persino in chi abbraccia delle battaglie. Certo, non è per definirsi che si diventa vegani, animalisti, politicamente impegnati, attenti alla moda, fanatici di serie, di film, di libri. Ma un colore, uno strato in più, un connotato netto, tutte queste cose in qualche modo ce lo danno. E questo connotato ha la capacità di alimentare il piacere e di conseguenza la propensione all’impegno. La dedizione cresce e la definizione di chi siamo si fa ancora più netta, in una spirale che se trova terreno fertile può mirare all’ascensione.
Allora sì, quel segno che dovrebbe arrivare dall’alto dovrei provare a raggiungerlo e strapparlo come si fa a rubabandiera. Tenendo sempre presente nel frattempo che questa newsletter è una parte di me, aggiunge qualcosa a chi sono. E lo fa esattamente da due anni, perché oggi è il suo secondo anniversario.
Auguri!
Proprio oggi quindi vale la pena fare uno sforzo, concentrarmi sul fatto che a me scriverti piace e che in questi mesi mi è mancato da morire. Non significa che passerà la frustrazione, non significa che il pianeta è salvo. Ma il finale è aperto e c’è tanto ancora da sperare.
E c’è pure tanto da fare però, perché restano ancora da abbattere, o almeno da deviare, tutte quelle scuse che mi invento quando ho la tentazione di chiudere. Allora ti chiedo di indossare anche tu un camice da laboratorio e dare il tuo contributo alla causa.
Come? Partecipando a un sondaggione, anche per riabilitare lo strumento, che ultimamente non ci ha regalato grandissime gioie.
Il sondaggione
Che bello, il sondaggione! Chissà come funziona.
Abbiamo finito. Ammetto di aver dato una nuance attitudinale abbastanza forte a ciascuna opzione ma ho ritenuto più onesto farti capire da subito come avrei interpretato le tue risposte piuttosto che fornirti un profilo alla fine.
Era un sondaggio per aiutare me, non un raffinato test psicologico.
Grazie eh.
Pinkabbestia
Solo qualcosa di rosa
Du spicci
Toh, ho trovato qualcosa su COS.
COS - € 99
Saluti
Questa newsletter è una mia velleità che oggi, invece di estinguersi, ha compiuto due anni. Festeggiala come si deve consigliandola in giro e condividendola via email o sui social. Oppure trova tu un modo per farle gli auguri, che fa comunque piacere.