Ieri o domani? Vol.2
Questa newsletter è una mia velleità oggi davvero cupa, mi dispiace, sono mortificata.
Ti scrivo anche se avevo deciso che non l’avrei fatto. Avevo pensato di cavarmela esponendo un bel cartello “Chiuso per Sanremo”, perché ho trascorso gli ultimi giorni concentrata solo su quello, e ho pensato poco al resto.
E mi sembrava inutile mandarti una newsletter che parlasse di Sanremo, a Sanremo appena concluso. Alla fine l’avrai visto anche tu e che ti frega di avere un mio recap. Oppure non l’hai visto e allora, a maggior ragione, che ti frega proprio di un recap in generale, nemmeno del mio.
E mi ero detta che sarebbe stato sufficiente mandarti solo un bel Pinkabbestia con tre foto di look rosa sanremesi per farti un saluto e chiuderla qui.
Poi però, quando ho aperto la dashboard su cui ti scrivo, mi è venuta la curiosità di andarmi a rivedere cosa ti avevo scritto lo scorso anno sotto Sanremo. E mi sono stupita e anche un po’ incupita.
Il titolo della newsletter era Ieri o domani? e ieri e domani erano intesi proprio come ieri e domani, ovvero il 6 e l’8 marzo del 2021: rispettivamente il giorno in cui finiva Sanremo e il giorno in cui ricorre la giornata internazionale della donna.
Cioè l’anno scorso, nonostante Sanremo, avevo ben due cose di cui parlarti e quest’anno invece stavo per non scriverti affatto.
Ma è comprensibile, mi sono detta, quest’anno Sanremo è stato moscio, non è stato coinvolgente come l’anno scorso. Ecco no, non è vero. Leggo quello che ho scritto nel 2021 ed è esattamente il contrario. O meglio, è lo stesso. Anche l’anno scorso mi lamentavo: in quel caso dell’assenza di pubblico, della conduzione, dei monologhi e degli sketch con gli ospiti.
Il consiglio prezioso
Col senno di poi: Serve compostezza in ogni rivalutazione.
Riflettevo
E allora di cosa cacchio mi sto lamentando anche quest’anno? Ma soprattutto perché mi lamento sempre? Perché questa edizione è sempre peggiore della precedente? Perché oggi è sempre peggio di ieri se poi finisce per essere rivalutato domani?
Che senso ha parlarne sempre male e poi in realtà trascorrere almeno cinque ore a sera a guardarlo e commentarlo in gruppi d’ascolto, o addirittura invitare amici a casa per vederlo insieme?
Quest’anno poi c’è pure il Fantasanremo che, sì, avrà tolto un po’ d’attenzione alle performance, le avrà contaminate con parole senza senso e gesti artificiosi (papalina, zia Mara, batti il cinque, grazie orchestra, grazie pubblico, tieni i fiori, ridammi i fiori, mi tolgo la camicia, se mi siedo sui gradini poi devo pure stendermi) però l’ha movimentato, l’ha reso un po’ più goliardico.
E c’è tanto bisogno di goliardia, no? Oddio, non lo so, ora che me lo chiedo per iscritto non lo so se ce n’è davvero bisogno: Berlusconi si era mosso per diventare Presidente della Repubblica pochi giorni fa, non eravamo esattamente a secco di marachelle. Ma ne abbiamo già parlato e l’argomento era archiviato, su. Sì dai, non mi muovo da questa posizione, c’è bisogno di goliardia.
C’è bisogno di prenderci tutti meno sul serio. C’è bisogno di ridere anche al di fuori del cringe. Ridere o sorridere perché fa ridere e basta, non perché è tutto sempre fuori luogo, distopico, traumatizzante.
C’è bisogno di sentire musica e canzoni, ma c’è anche bisogno di cazzeggiare e di veder cazzeggiare anche i cantanti. Che dovrebbero essere tesi, concentrati, emozionati, ma non rinunciano comunque a cazzeggiare. Ridiamo anche con voi questa volta, che cosa carina.
Anche perché Sanremo è già di suo un’esperienza un po’ cupa secondo me. Puoi riempire tutto, tutte e tutti di fiori, puoi metterci canzoni più o meno movimentate, puoi anche invitare Jovanotti a cantare Ragazzo Fortunato, ma c’è sempre un velo di tristezza che non riesci a scrollarti di dosso quando lo guardi.
Perché, scusami se te lo dico, eh, ma c’è un sacco di morte dentro Sanremo. Tu non la vedi? Mi dispiace dovertela mostrare io, almeno te lo sto dicendo a Sanremo concluso così l’anno prossimo avrai già rimosso tutto il discorso. Avrai rimosso anche Sanremo, lo sai, quindi fammi fare, regalami la gioia di dirti che c’è tantissima morte dentro.
C’è nelle cover, nei tributi agli artisti scomparsi, in quelle standing ovation a cantanti senior in gara, che sembrano solo sottolineare che è un miracolo se sono lì a cantare.
E questo in generale. Poi ognuno ha il proprio personalissimo lutto o timore di lutto: il cantante che ami e che non ce la fa più, quello che hai preso sempre in giro e ora vedi così fragile che ti senti in colpa, quello che gli altri non capiscono, quello che ti ricorda l’infanzia e che vuoi difendere perché la sua dignità è la dignità di tutto quello che speri venga conservato.
Perché ormai le cose non solo finiscono, non solo scompaiono, ma prima di sparire si sporcano pure. E, se devi fare pace con l’idea che niente può restare, vorresti almeno avere la consolazione di poterle ricordare intatte quelle cose, non appassite, non violate.
E sarebbe bello che ci fosse un sorriso non solo nel ricordo ma anche nel presente, sarebbe bello non inseguire sempre quel ghigno che sembra in grado di allontanare la morte ma poi in realtà la evoca e basta, la anticipa, la teme.
Quel ghigno che ormai è la cifra di tutto quello che vedi, vivi, commenti e che però poi non ti basta per esorcizzare la mole di trash, consapevole o inconsapevole, che assorbi quotidianamente. Perché in fondo dietro a quel ghigno si cela forse un desiderio di riscatto emotivo, la necessità di una sorpresa dolce. La ricerca di una consolazione che sembra non arrivare mai.
E chi lo sa se la stiamo cercando nel posto sbagliato. O se invece è proprio lì ma ha paura di mostrarsi di fronte al nostro ghigno. Così scopriamo che basta sorridere teneramente per preservare e premiare ciò che, in mezzo a tutti quei fiori e a quelle luci, sembra scintillare solo per noi, mentre il mondo non vede o non ci fa caso perché è impegnato a ghignare.
Pinkabbestia
Solo qualcosa di rosa
Saluti (o scuse)
Questa newsletter è una mia velleità più breve del solito. E forse è una fortuna. Perché non è con questi pensieri cupi che si inizia una domenica e non è così che si ricorda una settimana. Fai bene a lamentarti.
Cazzeggiare, sorridere, guardare con tenerezza e ogni tanto assumere la leggerezza come sguardo sul mondo. Mi sono piaciute più cose quest’anno. Di trash in questa edizione San Remo gli abiti di Giovanna