Tondi tondi?
Questa newsletter è una mia velleità che chiude il cerchio contro la propria volontà.
La prossima volta che ti scriverò ci sarà una sorta di scollamento tra questa newsletter e la realtà.
Perché nel frattempo avrò compiuto 40 anni tondi tondi e quindi, per un anno, quest’atmosfera frizzantina che ci regala il circa circa verrà un po’ offuscata da una quadratura, da una cifra esatta, da una cosa finita e definita che taglierà con l’accetta la mia età.
C’è bisogno di dirti che la faccenda non mi entusiasma?
Il consiglio prezioso
The stupid guys tell me to use the stairs: È già abbastanza trovare una mappa, non è necessario anche seguirla.
Riflettevo
Di solito le cose precise, le cifre tonde appunto, sono confortanti, ci rasserenano, ci semplificano i conti e un po’ la vita. E infatti è già da un biennio che dico di avere quasi 40 anni, per esorcizzare, certo, ma anche perché è più facile, si fa prima.
E però c’è una bella differenza tra quaranta e quasi quaranta. C’è quel “quasi” a cui mi sto aggrappando, e a cui mi aggrapperò fino alle 23:59 del 30 marzo, che porta con sé sfumature e soprattutto possibilità. E che è stato finora anche un free pass per procrastinare tutte quelle cose che avrei dovuto fare entro i 40 anni. Ora, senza un quasi a tenerle nel regno dell’avverabile, quelle cose rappresentano un obiettivo mancato. E, anche se non verranno depennate, resteranno sulla lista con un altro sapore, senza l’aura della promessa a me stessa.
Ma erano davvero così importanti? Ci tenevo sul serio a farle entro una data o il punto era ed è farle e basta? E, se ci tenevo così tanto, perché non le ho fatte? Ma soprattutto - e questo è l’aspetto fondamentale, davvero cruciale, quindi leggilo con la giusta solennità - anche ‘sti cazzi, no?
Questa enfasi che sto dando a un traguardo anagrafico, se ci penso con criterio, mi sembra già di suo un’idiozia. Per arrivarci mi sono limitata a non morire, che di recente sarà anche diventata una soft skill da non sottovalutare ma non fino al punto di meritare una medaglia. E se anche la vogliamo vedere in questi termini, sarebbe comunque più appropriato usare il termine tappa, perché traguardo sa di conclusione, di fine e, insomma, un po’ di scaramanzia me la terrei stretta se sei d’accordo. Uh, un numero sconosciuto, deve essere il call center che mi vuole proporre il tema della mortalità. No, la ringrazio, non sono interessata. Dicevamo, va bene così, anche se non tutto è andato come prevedevo in questi anni che si sono fatti tondi.
Ed è successo in parte a causa di fattori esterni: ho spesso fantasticato su come avrei gestito un’apocalisse zombie ma non mi ero prefigurata svariate crisi economiche, un lockdown e un potenziale conflitto atomico. Scema io?
In parte però è sicuramente colpa o merito mio. Anche merito, certo, perché quando ti dico che la realtà è diversa dalle mie aspettative non intendo per forza in peggio. Non avrò ottenuto quello che pensavo di ottenere ma ho anche avuto altro in regalo, qualcosa che non mi sognavo di avere, o a cui non davo importanza e che oggi mi aiuta a respirare.
E mi dico adesso che non essere arrivata alle mete stabilite non è per forza un male perché, se guardo bene, i percorsi tracciati non si sono interrotti ma ramificati, hanno aperto bivi, nuove strade e in qualche occasione anche passaggi segreti.
Poi, d’accordo, gli obiettivi restano sempre utili ma bisogna fare attenzione ad aggiornarli periodicamente, altrimenti il rischio è l’imbuto, in cui incastrarsi o da cui traboccare a seconda dell’efficacia dei piani. Perché ci diciamo sempre che dobbiamo porci degli obiettivi e che questi obiettivi devono essere realistici ma non ci diciamo altrettanto spesso che non c’è nulla di male nell’abbandonarli, nell’adattarli, nel trovarne di nuovi se i vecchi non ci rispecchiano più.
Del resto, in un mondo che ormai pullula di multipotenziali, con mille passioni da abbracciare e altrettante vocazioni da seguire, quant’è difficile restare fedeli a un obiettivo? Come si fa a non lasciarsi distrarre da qualcosa di più allettante o di più appropriato per cambiare rotta all’improvviso? È davvero un dramma se lasciamo qualcosa di incompiuto? Cos’è che ci disturba nel manchevole?
Ecco, io su questo sto facendo un bel lavoro. Perché se da un lato ho una naturale tendenza a lasciare le cose incomplete, a troncarle per noia o fastidio, dall’altro lato questa tendenza non me la sono mai perdonata. E ho sempre guardato con odio le mille agende iniziate e poi mollate, mi sono sempre recriminata il non aver portato a termine dei corsi o l’aver abbandonato alcuni hobby, per anni non mi sono concessa neanche il lusso di lasciare i libri a metà. Invece ora mi sto educando a farlo e ad accettarlo con serenità, perché un’esperienza è tale anche quando è in formula di assaggio. E anche un progetto mai realizzato vive come progetto, è parte dell’esistenza. È una porta che può sempre essere aperta in un altro momento oppure restare chiusa per poggiarci ogni tanto sopra un orecchio e origliarne i suoni dietro.
E questa prospettiva mi sembra salvifica considerati gli scossoni che sta subendo il globo, insieme a ogni suo singolo abitante, e che credo giustifichino un cambio di piani repentino o anche la voglia di dare qualche volta forfait, di rinunciare senza che questo rappresenti per forza una resa.
Perché, ad esempio, se fantastichi da anni su un compleanno enorme e scintillante, poi intervengono dei vincoli emotivi che ti fanno passare la voglia di festeggiare in grande quando fuori ci sono i mostri. E pure il meteo può metterci del suo con previsioni nefaste per tutto il weekend. E allora ti ritrovi a bramare una cena fuori con pochi amici, pensando che magari farai tutto in pompa magna l’anno prossimo, quando la cifra avrà di nuovo un circa circa soffice attorno. E ti ripeti che non è un obiettivo ma un augurio. Del resto al compleanno sono gli auguri che fanno testo, non gli obiettivi.
Guilty Pleasure with Guests
In questa rubrica un amico o un’amica della newsletter mi racconta il suo guilty pleasure. La genesi della rubrica ha una storia interessante dietro ma te la racconto un’altra volta. Questa settimana il Guilty Pleasure è di Francesca.
Quando ho chiesto a Francesca di confessarmi un suo guilty pleasure pensavo che non ne potesse avere: pleasure sì, per carità, ma guilty non è da lei, mi sono detta. Perché il suo superpotere ai miei occhi è la spontaneità: di solito fa quello che le va di fare e si fa piacere quello che le piace, senza mettersi troppi freni inutili, senza farsi limitare dalla gabbia dell’approvazione sociale, senza chiedersi se qualcosa è giusto o bello in assoluto. Questa domanda poi la rivolge a me, a cose fatte o viste, mi chiede che ne penso e mi dice puntualmente che non capisce quello che penso.
E invece ecco il suo guilty pleasure.
Love is blind mi faceva l’occhietto da un po’. L’ho assecondato.
Si tratta di un reality show in cui un tot numero di singoli deve parlare uno alla volta con un altrettanto tot numero di singole senza però mai vedersi in faccia. Solo parlare, one-to-one, prima con una, poi con l’altra, poi con un’altra ancora fino ad eliminare quelle o quelli con cui non c’è connessione e ampliare i momenti di chiacchiere con quelle o quelli con cui invece c’è connessione. Conoscersi approfonditamente ha uno scopo: scambiarsi una promessa di matrimonio prima ancora di vedersi. E dopo il danno, la beffa: vi siete dichiarati amore eterno? E ora vi guardate in faccia, tie’, fate i conti con le vostre scelte. Inutile dire che, va be’, è facile farsi abbindolare da un racconto magari fatto da una bella voce, ma quanta tensione c’è poi dietro le porte che si aprono e che ti sbattono davanti un corpo con cui devi andare a dormire tutte le sere?
Dopo due puntate ero già completamente rapita, stupita, sconcertata e anche divertita. E alla fine della stagione ho guardato anche Love is blind Japan e Love is blind Brazil. A quel punto ho avuto proprio una visione: se Love is blind American edition è un tripudio di politically correct, Love is blind Japan è un ponte di plastica rivestito di fiori di ciliegio rosa tra le parole t’amo, Love is blind Brazil è puro sesso rivendicato, cosa sarebbe Love is blind Italy? Il mio vero guilty pleasure è proprio questo: trovare una risposta a questa domanda.
Pinkabbestia
Solo qualcosa di rosa
Du spicci
Che ne sai come andrà quest’estate?
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Saluti
Questa newsletter è una velleità che conserva un circa circa nella propria vita anche quando tutto sembra dover essere tondo, o quadrato, o definito.