Ti ricordi di me?
Questa newsletter è una mia velleità che a gennaio non ti parla di buoni propositi.
Ciao, sono io, rieccomi: in formissima, circondata da positività (sì, in quel senso), di nuovo sommersa dal lavoro e con la grande tentazione di sprofondare in una sacrosanta depressione di gennaio a cui però quest’anno, in controtendenza, sono finora riuscita a resistere.
Ma che fine ho fatto? Ero andata in vacanza, sì, e poi? E poi non ho avuto moltissimo tempo per scriverti. Dici il tempo si trova. Ma certo che si trova, eccomi infatti, l’ho trovato. Però ci vuole pure la voglia. Oddio, non era neanche esattamente la voglia a mancarmi.
Diciamo che non mi sentivo in assetto.
Perché gennaio in generale è il mese in cui si guarda avanti, il mese dei buoni propositi, che assumono spesso la forma di risoluzioni solenni. E io invece, tornata dalle vacanze di natale, non avevo alcuna voglia di guardare al futuro o di inseguire traguardi.
Sì, ovvio, anch’io mi sono detta che per qualche settimana avrei dovuto eliminare alcol e cibi grassi, ma ti sembra un buon proposito su cui incentrare un’intera newsletter? Dai, non reggeva.
E non ne avevo altri purtroppo, perché io il compitino dei buoni propositi lo faccio, e lo faccio male, a settembre. Per me il primo mese dell’anno è settembre. Non lo so, aveva senso scriverti nei giorni scorsi solo per importi la mia prospettiva e convincerti che gennaio non è il mese dei nuovi inizi, delle partenze, bensì quello del ritorno e dei bilanci?
No, non aveva senso.
Ce l’ha oggi però, perché nel frattempo tu avrai finito con letture motivazionali e liste di obiettivi, avrai magari già mollato alcuni nuovi progetti e sarai alla disperata ricerca di qualcuno che non ti faccia sentire in affanno.
Il consiglio prezioso
It follows: Puoi correre veloce in moltissime direzioni.
Riflettevo
E sai perché non ti farò sentire in affanno? Perché io sto giocando a rimanere più indietro, a guardare indietro. Quindi, se anche ti muovi a ritmo lentissimo verso il futuro, avrai sempre me che vado più lenta, magari mi fermo e ogni tanto torno pure sui miei passi.
Ecco, non ti affrettare, ci sono io qui, alle tue spalle, sempre indietro.
Io che da giorni e giorni sto guardando How I met your mother sull’account Disney+ di mio padre, io che ho regalato a mia nipote una Barbie pazzesca pensando “così almeno ci posso giocare”, io che non ho ancora finito di vedere Don’t look up, sapendo bene che l’hanno visto tutti e ne hanno anche parlato tutti. E invece l’unica cosa che so io è che nel film è stato inserito il numero di telefono di una linea erotica.
Ma non sono solo io, eh. Se ti concentri un attimo, se guardi bene, tutto il mondo sembra un po’ rivolto indietro.
Non vorrei parlare di politica, e mi dispiace anche l’ovvietà dell’argomentazione, però come faccio a non dire Berlusconi? Lo dico una volta e basta, non te ne parlo perché non serve, non serve approfondire per dimostrarti che è tutto tornato indietro, con lui che tenta colpacci che non stanno né in cielo né in terra e tutti gli altri che si indignano e nell’indignazione trovano la scusa perfetta per non agire, per non proporre, per stare fermi, rivolti indietro. E poi, ieri, ecco anche un’inversione nell’inversione.
Sì, non te ne parlo. Però una menzione a Sgarbi devi concedermela perché io, che mi sto chiedendo da giorni “Sgarbi?”, solo “Sgarbi?”, con tantissime intonazioni diverse, venerdì ho visto la sua intervista a Propaganda e ho smesso di chiedermi qualsiasi cosa. Con gli occhi fuori dalle orbite per la sua casa meravigliosa, con un fastidio insopportabile verso l’obiettivo e l’operazione nel suo complesso, ho assistito a una lezione magistrale di strategie di vendita, con pillole di lead generation e networking, utile a chiunque si trovi a fare pacchi di telefonate al giorno per cercare di acquisire clienti.
E va bene, non ne vuoi parlare, preferisci parlare di Baby One More Time a Sanremo piuttosto, lo capisco. E io te ne parlo, per carità. Anche se non vorrei in realtà, perché la paura dello scempio è tanto grande, così come il rischio di ricevere un duro colpo da questa performance. E lo è ancor di più per chi, come me, ha deciso di concentrarsi sul passato, di attribuirgli oggi un peso.
Però Britney Spears mi casca davvero a fagiolo sul guardare indietro. Britney è proprio il manifesto di come sia importante voltarsi indietro e cercare lì le cose e le persone che hai abbandonato. Quelle che pensi siano custodite per bene in una teca che le protegge ma, se vai a controllare, se fai lo sforzo di preoccupartene, ti accorgi che non solo dopo averci giocato non le hai riposte con cura, ma anche che mentre ci giocavi le stavi già maltrattando.
Perché con il documentario Framing Britney, oltre a renderci conto della situazione in cui si trovava Britney Spears lo scorso anno, abbiamo anche rivisto sotto una nuova luce quello che tanti anni fa ci sembrava ok e che invece con gli occhi di oggi ci è apparso inaccettabile, oltraggioso, osceno.
Così, guardando indietro, abbiamo visto un sistema mostruoso che all’epoca era considerato normale e che invece pochi mesi fa ci ha fatto inorridire. Eppure a me fa anche ben sperare, perché mi sembra che la direzione in cui procediamo, magari lentamente, sia quella giusta.
È che quando guardi indietro riesci a vedere cose che prima non avevi visto, perché all’epoca magari neanche esistevano o forse erano distorte da una lente che nel frattempo, per fortuna, è stata sostituita. Per questo ho sempre difficoltà quando si parla di cancel culture. Perché non voglio unirmi al coro di “ma si usava così, non si può demonizzare”, però allo stesso tempo non voglio che spariscano gli errori e gli orrori, perché guardarli ci mostra quanto siamo distanti da chi eravamo.
E questo sguardo al passato è più incoraggiante di qualsiasi buon proposito, ti restituisce la speranza della lunga strada che ancora puoi percorrere, ti dice che se c’è distanza tra il passato e il presente ce ne sarà di sicuro anche tra l’oggi e il domani, tra chi sei adesso e chi sarai nel futuro.
Visto letto sentito 🙈🙉🙊
Impeachment: American Crime Story
E, sempre in questa celebrazione del passato come rilettura di cose che avevo affrontato sicuramente da un’angolazione sbagliata, sono incappata in Impeachment: American Crime Story, la serie che parla del sexgate di Clinton, ovvero dello scandalo di cui non avevamo – sì, neanche tu, mi spiace – capito una ceppa.
Io ero sicuramente giovane all’epoca ma non si tratta solo di me. Tutto il mondo, il mondo che era già adulto e navigato, ha vissuto, affrontato e raccontato questa vicenda in un modo che adesso non reggerebbe neanche in un film di fantascienza.
Nella serie, ad esempio, scopriamo oggi (non perché non fosse noto ma perché le lenti degli anni ’90 erano diverse da quelle che indossiamo adesso) che Monica Lewinsky non se l’è cercata quella fama e non si è meritata quelle parodie e barzellette che l’hanno travolta e che tuttora restano solide nel nostro immaginario e nel nostro vocabolario.
Scopriamo che Bill Clinton era ieri quello che oggi sarebbe definito, senza alcuna esitazione, un predatore sessuale, a prescindere dalle ragioni politiche per cui ci si è accaniti a scavare nella sua vita privata.
Certo, nel racconto si sente forte il punto di vista di Monica Lewinsky, che è tra le produttrici della serie, ma questo non cambia nulla. Perché, di nuovo, se sono contenta di scoprire qualcosa che non sapevo, sono ancora più contenta di scoprire qualcosa che sapevo già ma che non sapevo leggere.
E alla curiosità per tutto quello che ancora c’è da capire sul passato e sul presente si affianca anche un po’ di paura. Quella normale del tempo che passa ma anche la paura degli errori di valutazione che sto sicuramente commettendo e di cui mi accorgerò solo domani.
Pinkabbestia
Solo qualcosa di rosa
Questa me l’ha mandata Franco.
Questa me l’ha mandata Giuliano.
Questa, la peggiore, come sempre l’ho fatta da sola.
Du spicci
Che ne so, hanno senso?
Compania Fantastica - € 36 (in saldo)
Saluti
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Bentornata, mi sei mancata! (E secondo me no, i pantaloni non hanno senso)