Giovedì sera, uscita da yoga, mi sono sfondata di pizza. Questo è un fatto che mi fa piacere dirti ma non è il fatto che ti devo raccontare. Quello che ti devo raccontare è che, mentre mi sto sfondando di pizza, la mia amica Chiara mi dice che, a guardarmi, mentre faccio yoga, si vede proprio che mi piace farlo, fare yoga. Ora considera che io mentre faccio yoga sono sicura di avere sempre il viso trasfigurato da smorfie di sofferenza, perché non incarno nulla dello spirito dello yoga e in quell’ora e mezza di torsioni, allungamenti ed equilibri interpreto nella mia testa una ginnasta adolescente vittima di vessazioni fisiche che un giorno però avrà una grande soddisfazione. Se non si spezza in due prima.
Il consiglio prezioso
In the eye of the beholder: Ti piace è diverso da ti piaci.
Riflettevo
Le smorfie sono peggiorate nell’ultimo periodo perché nella sequenza abituale, che pratico da un annetto, l’insegnante ha inserito in più la spaccata. La s p a c c a t a. Hai capito sì? Ma come la faccio io la spaccata? Male la faccio, resto quasi appesa e non tocco terra neanche per il cazzo, ma la faccio lo stesso, perché io non dico no se qualcuno mi chiede di fare una spaccata, ci provo e arrivo a una posizione che non è una spaccata ma l’equivalente grafico di un lamento, e in quel lamento sto e sopporto quanto mi si chiede di stare e sopportare. E mentre provo un dolore cane, che non passerà per giorni, non so se posso dire a cuor leggero che in quel momento quella cosa mi piace. O sì?
Sicuramente mi piacciono i piccoli progressi che ottengo di volta in volta, quell’incoraggiamento quasi impercettibile che mi illude di poter fare in futuro anche quello che ancora non riesco a fare. Ma no che non è il giusto approccio allo yoga, lo so benissimo, non me lo devi spiegare tu. Sì, sì, respiro, mi concentro su me stessa, ascolto il mio ritmo, mi apro al presente ma, alla fine - ti posso dire? - Comaneci, sto arrivando!
In ogni caso mi sembra che quei micro progressi siano le mie coccardine, il mio piccolo premio, la mia gratificazione. Il problema è che le coccardine causano sempre assuefazione e quindi più ne ricevi e più ne vuoi, e le vuoi più grandi e le vuoi da più lati e finisce che non sono mai sufficienti, mai del tutto soddisfacenti, e a un certo punto da coccardine si trasformano in cartacce colorate di cui ti vuoi disfare. E arrivi a un punto in cui non sai neanche più cos’è che ti incoraggia e cos’è che invece ti frustra, ti irrita, ti fa inviluppare e involvere.
Chissà qual è la formula mi dico, chissà cosa mi serve, come se fossi un Tamagotchi, che si sveglia ogni tanto e ha un’esigenza e, in base a come tratti quell’esigenza, l’uovo poi diventa un simpatico animaletto o uno sgorbio frignone. Ce l’hai presente il Tamagotchi?
Io ne avevo uno al liceo che all’inizio, nelle prime 5 o 6 ore dall’acquisto, mi ha intrattenuto tantissimo e poi però mi ha immediatamente rotto i coglioni. L’unica cosa davvero molto divertente che associo al Tamagotchi è quando nella mia classe ne hanno rapito uno di una mia compagna, con tanto di richieste di riscatto e catenella mutilata e poi inviata come prova sadica della sua prigionia. No, dai, se questo è bullismo allora la vita non vale più la pena viverla: non mi rovinerai questo ricordo, mi fa ancora ridere e mi farà ridere sempre.
E comunque non è di quel Tamagotchi - che poi è stato liberato, non voglio lasciarti con l’angoscia – che ti stavo parlando. Né del mio, che non è mai stato rapito ma credo abbia comunque fatto una brutta fine, non so se incarcerato in un cassetto della mia cameretta o in agonia in una discarica dove non verrà mai smaltito, condannato al normale decorso di un rifiuto non differenziato degli anni ‘90.
A quanto pare sono io il Tamagotchi di questa storia, io che mi nutro di progressi e di incoraggiamenti, e che se questi sono pochi o troppi cambia tutto e cambio io e spesso mi trasformo in uno sgorbio frignone. Ma che palle però. Che palle perché, proprio come il mio Tamagotchi, sono una gran rottura di coglioni anch’io, sempre concentrata su quello che mi manca e che mi serve, non riuscendo mai a fare una cosa solo “perché mi piace”.
Questo “perché mi piace” proprio non mi entra in testa, è come se arrivasse in un formato sbagliato, da convertire in un’altra estensione.
Per te può essere diverso, va bene, magari a te piace fare una cosa e basta, che fortuna, ti piace così, senza altro da aggiungere. Però prova a non barare: prova a escludere le coccardine dalle cose che ti piacciono. Puoi dire davvero che la cosa che fai ti piace? O ti piaci tu per il fatto di farla? Perché spesso le cose che facciamo contribuiscono alla rappresentazione che diamo di noi. Sono pilastri portanti della nostra identità, passioni che quando le racconti avresti anche la tentazione di registrarti e poi riascoltarti per quanto ti piaci quando dici che ti piace qualcosa.
Pensa allo Spotify Wrapped di fine anno. Alla corsa che c’è nel dire IO NEL 2023 HO ASCOLTATO QUESTO, a me piace questa canzone ed è quella che ho ascoltato di più quest’anno, io questa canzone l’ho ascoltata 1200 volte, HAI CAPITO, io forse SONO questa canzone. Cantami adesso, canta me, canta meeeeeee.
Ora la mia non è una critica, anch’io le pubblicherei ‘ste statistiche se non mi vergognassi di quello che c’è dentro. Pensa che non solo non ho condiviso le mie ma non ho neanche il coraggio di andare a guardarle. Perché spesso quello che mi piace mi imbarazza pure, guarda un po’. E però forse sono queste le cose che ci piacciono davvero, quelle che non abbiamo il bisogno di condividere, o forse non ne abbiamo neanche il coraggio, quelle che ci piace fare e basta, che non aggiungono nulla alla persona che siamo, anzi ci rendono più vulnerabili, e soprattutto non ci danno coccardine, ci piacciono e basta.
E ringrazia la mia grande generosità se non ti attacco ora un pippone pure sul capitolo piacersi, che ho tutta una serie di amiche adesso che hanno raggiunto il nirvana e si piacciono e io sembro il militare giapponese nella giungla lì, che non si arrende e che ancora, nonostante la guerra sia finita, resta l’ultima delle boomer che ancora non si piace. E quanto mi piace però non piacermi - ti pareva - ma quanto mi piace anche dirlo e scriverlo. Allora forse non mi piace davvero?
Visto letto sentito 🙈🙉🙊
Ecco una cosa che non deve piacermi, non è bene che mi piaccia, eppure a me è piaciuta e la volevo tanto vedere e l’ho vista e ora che l’ho vista sono contenta e non mi fare la ramanzina con il livello culturale di questo Paese, con la nostra royal couple che è peciona e che schifo e che trash e che pena. Ci sono due super famosi che si separano, si tradiscono e si separano, si rubano rolex e si nascondono borse di lusso. E poi lo vanno a raccontare sui giornali e ora pure su Netflix. Non mi rende migliore come essere umano, sacrosanto, ma come fa a non piacermi?
Pinkabbestia
Solo qualcosa di rosa
Du spicci
Io ‘sto maglione di Uniqlo me lo comprerei tutti gli anni e quest’anno in questo colore.
Uniqlo - € 34,90
Saluti
Questa newsletter è una mia velleità che mi piace di nuovo. Se piace anche a te suggeriscila e condividila in giro.
Io ti amo. Soprattutto perché ti arrovelli a vanvera. E che vanvera, ragazza!
(Comunque la mia roba Spotify sono andata a guardarla e me la sono pure riascoltata perché SO che me ne vergogno e provare vergogna è un piccolo orgasmo, checché se ne dica)
Allora: non mi piace per niente fare yoga, però mi piace dire che faccio yoga, mi sento una persona migliore, più calma. Mi sento, non è che lo sia, anzi. Il giorno in cui faccio yoga sono nervosissima, prima.
Grazie per queste riflessioni!