Ho visto sul sito di Zara una borsa portafiori. No, non sto partendo con la sezione Du Spicci, non so neanche se te la metto oggi, guarda. Perché sono turbata. Dalla borsa portafiori, sì.
Una borsa portafiori. Non sai cos’è? Mi dispiace dovertelo spiegare, perché io stavo meglio quando non lo sapevo. Una borsa portafiori è una borsa in cui tu metti i fiori per portarli in giro. Cioè compri dei fiori e li metti nella borsa. Che è fatta appositamente per portare dei fiori. Capito, sì? Vai dal fioraio, compri i fiori, li metti nella borsa e li porti dove li devi portare.
Adesso che lo sai ti renderai conto che la questione non è “a cosa diamine serve una borsa portafiori?”. Il problema vero nasce quando, guardandoti dentro con onestà, pensi “oddio però che carina la borsa portafiori”. Io sto provando a dirmi “ma carina di cosa, mentecatta, non serve a niente”. Però poi su Instagram vedo tutte queste foto coi tulipani, gente che se li regala, gente che li riceve, gente che se li va a raccogliere nei vivai, insomma, è tutto così bello. E io invece sono qui coi capelli in disordine, che per farmi una foto decente ci metto ore e se mi trovi in giro con le buste del carrefour è grasso che cola.
E se non ci casco è solo perché mi impongo di fermarmi a pensare, perché poi ne devo parlare con te e analizzare sempre tutto e diventare mortalmente pesante. E mi convinco che se non sono in grado di verbalizzare una cosa, o di darle un significato, quella cosa non ha senso e allora è giusto scartarla. Detta tra noi però: che vita è?
Il consiglio prezioso
Unfold: Per guardarti dentro spesso ti devi anche guardare da fuori.
Riflettevo
Il fatto è che è bello essere belli e avere cose belle, sì, solo per il gusto del bello. Ma poi in fondo quella bellezza non è davvero destinata solo a te: perché sia piena, piena davvero, ti serve qualcuno che ti guardi. Non mi dire che è così solo per me, ti prego. Anche quando mi guardo allo specchio, e sono soddisfatta di quello che vedo, il pensiero è “ora mi vedranno bella”. Ma chi? Chi è che mi guarda? Marito, un’amica, gente sconosciuta che incontro per strada? A chi voglio piacere?
E devo ammettere che anche quando cammino da sola, quando mi muovo, quando faccio cose banali, mi accompagna la sensazione di essere osservata. Non per forza in senso negativo, anzi. Alle volte questa sensazione è come se addirittura giustificasse il mio camminare, il mio muovermi, il mio esserci.
È una percezione che si è affievolita crescendo ma non posso dire sia sparita del tutto. Ora, se avere un cosiddetto pubblico immaginario sembra essere diffuso e perfettamente normale nell’adolescenza, nell’età adulta pare sia invece alla base di insicurezze fastidiose. E sì, io sono molto insicura, però alla fine mi dico che non può essere un vero disturbo: primo perché io so di essere sana di mente (davvero stai ridendo?) e secondo perché il pubblico che abbiamo non è più davvero immaginario. Tu per esempio esisti, no? E io ti racconto un sacco di cose, ti mostro un sacco di cose. Ma qual è lo scopo?
E allora forse chi si compra una borsa portafiori, solo per farsi una foto che vedranno un tot di sconosciuti su Instagram, sta facendo la stessa cosa. Solo che forse quella persona è alta, vestita bene e coi capelli in ordine, e quindi, invece di sproloquiare sul nulla, al suo pubblico immaginario (che è diventato reale) sta mostrando qualcosa di bello. Qualcosa che se comprasse solo per sé non avrebbe senso, se invece la inserisce in una mostra di sé, allora sì, funziona.
E penso che sia anche una fortuna disporre ora di tutte queste diavolerie che ci consentono di avere un pubblico. Proprio ora in cui ci siamo completamente disabituati all’idea di esserlo, un pubblico. Perché non possiamo assistere quasi a nulla, a nessun concerto, a nessuno spettacolo, se non a distanza, tramite una diavoleria appunto.
E se è vero che stiamo arrivando a fare cose innaturali solo per il fatto che ci siamo creati piattaforme dove vogliamo mostrarci, è altrettanto vero che anche il nostro pubblico reale (i nostri amici, la nostra bolla) ci porta a fare cose che forse non faremmo se fossimo completamente liberi dal giudizio altrui: leggere quel libro perché poi se ne parla, visitare quella città perché sono l’unica a non esserci ancora stata, vedere un film pallosissimo perché è recensito su quella rivista per persone intelligenti.
E sì, alle volte le derive che questa dimensione assume sono difficili da digerire, perché se esci da te e arrivi a guardarti troppo da lontano poi magari cominci anche a parlare di te in terza persona. Un fenomeno con cui non vado d’accordo ma che ha il nome più bello del mondo: illeismo. Però ti dico che l’illeismo non è solo la mia nuova parola preferita ma anche la prova che grazie a te, immaginario o reale che tu sia, imparo delle cose. Perché non sarei andata ad approfondire niente di tutto questo se non avessi dovuto raccontarlo a te. Sei tu che mi guardi il motivo per cui sto scrivendo. E finisce che io, che cerco di dirti quello che sono e penso, non sarei quello che scrivo se non ci fossi tu a leggerlo.
Visto letto sentito 🙈🙉🙊
Selfie
Ho visto questo documentario tempo fa, però ne ho parlato di recente con un amico e mi sembra più che azzeccato parlartene oggi. Perché è la dimostrazione che mostrarsi, cercare un pubblico, una dimensione ulteriore che inquadri la propria quotidianità in una nuova prospettiva, non ha sempre una valenza grottesca o dannosa.
In Selfie due sedicenni, Alessandro e Piero, accettano la proposta di riprendere col cellulare le proprie giornate, per raccontare uno spaccato del rione Traiano di Napoli. Si tratta del quartiere dove viveva anche Davide, un ragazzo morto durante un inseguimento con la polizia, tragedia da cui prende avvio il progetto documentaristico.
Il modo in cui i due protagonisti affrontano la vita di tutti i giorni, le poche scelte che hanno a disposizione e la scelta stessa di raccontarsi, è inaspettato e autentico. Hai la sensazione che la verità ti travolga, anche di fronte ad alcune bugie che raccontano e si raccontano alle volte.
C’è una tale quantità di vita che ti viene voglia di pesarla. Ne senti la materia, non le sfumature, non le qualità o le caratteristiche, ma la sua presenza, enorme, faticosa.
Selfie ha vinto il David di Donatello come miglior documentario e sta su raiplay. Se non l’hai già fatto, guardalo.
Pinkabbestia
Solo qualcosa di rosa
Guilty Pleasure
Hai presente quando ti metti un vestito stupendo, sei truccata alla perfezione, esci e non ti vede nessuno? Ecco, a me capita anche con le battute. Quando dico o faccio una cosa divertente e non la vede nessuno.
Poi magari non è divertente quanto penso io però, non potendo essere smentita perché nessuno ha effettivamente assistito alla scena, resto dell’idea che quella gioia sia andata sprecata.
E oggi è giunta l’ora di mettere alla prova quello che io considero uno dei miei capolavori. Anche per farti capire con che razza di persona stai interagendo ogni domenica.
Marito tanti anni fa lasciava sempre in giro una camicia, che io ormai consideravo un nostro coinquilino. Così mentre lui stava lavorando, io ho speso ore della mia giornata a fare e documentare questo:
Fa ridere? Meritava un pubblico? O sei tu a meritarti di meglio?
Saluti
Questa newsletter è una velleità che ha bisogno di te e lo sa bene. È bello sapere che ci sei anche se non ti vedo. E quando ti manifesti qui o su Instagram o su qualsiasi altro mezzo dai a tutto un senso ancora più concreto.