Questa settimana è stata davvero pesante: ho lavorato come una bestia, ho avuto qualche rogna personale, il tempo ha fatto schifo ogni giorno e mi è persino piovuto in casa. A quanto pare la terrazza condominiale si è allagata, l’acqua è entrata in una specie di condotto di ventilazione e nel mio bagno hanno iniziato a zampillare cascate impetuose dal soffitto e dal muro.
Che vuol dire dal muro?
Vuol dire che tra le mattonelle, ad altezza occhi, sgorgavano rivoli d’acqua inquietanti. E, mentre urlavo al telefono con l’amministratrice di condominio e con l’idraulico, mi sono accorta che il mio cervello stava un po’ sfarfallando quando mi sono chiesta (per fortuna non ad alta voce) se non fosse il caso di indossare un salvagente. Davvero la mia testa per qualche secondo è stata attraversata da immagini di scialuppe e naufragi.
Ora, a mente lucida, questa mia associazione mi fa molto ridere ma lì per lì ho avuto la sincera paura di affogare. Nella mia casa al quarto piano, paura di affogare.
Paura che fosse arrivata la resa dei conti, paura che fosse giunto il momento di dimostrare al mondo quello che per troppe volte avevo ripetuto: che io la porta usata a mo’ di zattera in attesa dei soccorsi l’avrei di certo condivisa con Marito, non l’avrei mai lasciato giù a congelare nelle gelide acque del nostro appartamento.
Il consiglio prezioso
Arricciaspiccia: puoi dare alle cose il nome che vuoi.
Riflettevo
Ora, appurato il fatto che, no, casa mia non stava affondando e, sì, la mia soglia di reazione fight or flight è probabilmente troppo bassa, resta da capire se questa paura di colare a picco non rappresenti in realtà qualcosa di più profondo.
Perché magari non così, in senso letterale, ma io ho sempre paura di colare a picco.
Sono braccata dall’idea che tutto andrà irrimediabilmente male. Che non riuscirò a concludere quello che mi sono prefissata, che la mia vita finirà nel peggior modo possibile e che ogni piccolo successo è sempre e solo il preludio di una clamorosa disfatta.
Ho il terrore del fallimento. Ed è una sensazione sotterranea che accompagna tutto quello che succede poi in superficie. Ogni esperienza, ogni soddisfazione, ogni preoccupazione hanno sempre alla base un’angoscia silenziosa che, se trova una piccola crepa in cui infilarsi, fuoriesce e sommerge tutto.
Forse te ne ho già parlato, non mi ricordo, o forse l’avrai dedotto da altre cose che ti ho detto, fatto sta che, sì, questa paura credo sia una parte fondativa della mia personalità, di come mi muovo nel mondo e anche di come mi relaziono con gli altri.
Il fastidio di questa specie di fobia è che si autoalimenta, perché ti porta a evitare di misurarti in certi contesti, ti spinge ad abbassare le tue aspettative (e dunque a non puntare in alto), ti fa spesso passare la voglia di spendere energie in vista di un obiettivo (perché tanto quell’obiettivo non lo raggiungi comunque e allora non ha neanche senso provarci).
Quindi attiva un meccanismo di self-sabotage di cui (di questo sono sicura) ti ho già parlato.
E lo so che bisognerebbe riconoscere il valore del fallimento, perché si impara molto più dagli errori che dai successi.
Ma più si va avanti con gli anni, più è difficile lasciarsi sedurre da quegli esempi di fallimento che spesso colorano la biografia delle persone che alla fine ce l’hanno fatta. Perché le energie, mi uccide dirlo, sono inversamente proporzionali all’età, e più cresco (va bene, invecchio, che appunto stupido) meno mi immagino protagonista di imprese epiche sull’onda di un grande riscatto. Ho paura del baratro, certo, ma mi stanca anche l’ipotesi della risalita necessaria che ne deve conseguire.
Quanta negatività, starai pensando. Sì, mi è piovuto in casa, che cosa ti aspetti?
Però hai perfettamente ragione, lo ammetto, sto parlando di questo fallimento come se fosse già qui, e invece no. Non è avvenuto. Non c’è ancora stato.
E forse è qui la chiave, nelle prospettive, perché di ipotesi ce ne sono tante, le cose potrebbero andare anche bene. O potrebbero andare male ma non così male da farsi male.
E allora l’unica cosa che resta da fare è guardarlo in faccia questo possibile fallimento e assegnargli forse un colore più tenue, ma soprattutto non vederlo immobile, solido. Perché anche quello, come tutto il resto, passa. Anche quello scorre.
Visto letto sentito 🙈🙉🙊
Tutto sulla Finlandia - Erlend Loe
Tutto sulla Finlandia è uno dei primi libri che mi ha regalato Marito, all’inizio della nostra storia. Sul momento non mi era sembrato un regalo azzeccato, non era nelle mie corde e non capivo perché Marito (che è un libraio quindi non regala libri a caso) avesse deciso di regalarmelo.
Poi, invece, mi è piaciuto da morire, mi ha fatto molto ridere, e ho voluto leggere tutti gli altri libri di Loe.
Il libro, quindi, l’ho letto circa 11 anni fa, e mi ricordo davvero poco, ma oggi mi sembra il momento giusto per parlartene. Dimmi se anche tu ci vedi un nesso, io te ne parlo perché il protagonista, che si trova a dover scrivere una brochure sulla Finlandia, ha la fobia dell’acqua, dello scorrere, del cambiamento.
E per scrivere questa brochure inizia un viaggio ideale in un Paese che non ha mai visitato, costretto a uno slalom tra luoghi comuni e stereotipi. Deve affrontare l’acqua, la paura dell’instabilità, dell’ineluttabilità.
Ma mentre si aggroviglia su ossessioni e fobie, mentre tenta di domare la quotidianità, e in questo modo anche il destino, pian piano perde il controllo e contro la sua volontà si apre al mondo esterno.
Quando l’ho letto non ero ancora stata in Finlandia. E non mi era ancora piovuto in casa.
Pinkabbestia
Solo qualcosa di rosa
Du spicci
È dietro l’angolo, non ti aspettare nulla di diverso da qui a fine dicembre.
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Saluti
Questa newsletter è una mia velleità che cerca modi di scorrere per soccorrersi. Tu falle del bene consigliandola in giro e condividendola ovunque.