Quando ci rivediamo?
Questa newsletter è una mia velleità e le velleità da domani sono in zona rossa.
Ieri salutavo le persone come se stessimo tutti per andare in ferie, solo che la vacanza ce la faremo a casa, continuando a lavorare (almeno chi può).
L’atmosfera era singolare, il pranzo allegro ma con punte di malinconia, fino a un rush di shopping nel negozio di un’amica. Ho preso un kimono bellissimo, che incarna ogni speranza di andare presto a fare aperitivi all’ora giusta, una camicia colorata con cui fare faville su zoom e un vestitino estivo, perché l’estate ci sarà, ci deve essere, altrimenti l’armadio lo svuoto e mi ci metto a vivere dentro io.
Non so se la sto prendendo come dovrei. Da un lato questa volta so a cosa vado incontro, dall’altro non ho idea di quanto durerà e durerò. In teoria fino a Pasqua ma puoi giurarmelo?
Il punto vero è che sembra tutto stropicciato, ogni interazione, ogni saluto, ogni notizia. Non c’è lo shock dell’anno scorso ma un disagio strisciante che mi porta a sospettare di me e delle mie reazioni. Mi sono abituata alla situazione o sto facendo finta che è tutto ok e poi tra due giorni ricomincio ad alternare sessioni di yoga a sessioni di pianto incontrollato?
Scaffali di farina e lievito sono stati presi di nuovo d’assalto. Così i parrucchieri, i ristoranti e tutto ciò che abbiamo paura di perdere di nuovo. E non è che fino a oggi abbiamo vissuto giorni felicissimi eh. Ci mancava già tanta roba e di troppa invece volevamo disfarci.
E se penso a quanto entusiasmo ho riposto nell’ultimo capodanno ho voglia di tirarmi un ceffone sulla nuca. Io sono confusa. Tu come stai? Ti sembra di resistere, ignorare il problema o dormire del tutto?
Riflettevo
Lo so che Draghi ha criticato l’uso eccessivo di anglicismi ma l’ha fatto dopo averne usati troppi. Io mi scuso fin da ora e quindi tana libera per me, eccotene un bel buffet.
New normal: È la situazione a cui ci siamo abituati. Quella in cui ci stiamo mostrando incredibilmente flessibili nell’adattarci a bar che chiudono alle 18.00, ristoranti aperti solo a pranzo, coprifuoco alle 22.00, mascherine sempre e ovunque, assenza di contatto fisico, piogge di riunioni online, astensione da viaggi all’estero e persino fuoriporta.
Next normal: È quello che ci aspetta quando e se supereremo (grazie ai vaccini o a un suicidio di massa) lo stato attuale. Vincerà lo smart working? Continuerà il processo di deurbanizzazione? Ci saranno sempre più poveri? Sempre più disoccupati? La crisi continuerà ad abbattersi con maggiore incidenza sulle donne? O si risolverà tutto e saremo solo più riconoscenti verso quello che avevamo e avremo di nuovo?
Never normal: Per chi non si arrende, paradossalmente. Per chi non cede alla voglia di dire “ok, questa è la nuova realtà” e quindi resiste, imperterrito, a questo folle fenomeno di suggestione collettiva. Si aggrappa a quanto stavamo meglio prima del disastro. A quanto non è possibile accettare definitivamente soluzioni che con la parola normale non avranno mai niente in comune. Perché normale è quello che c’era prima. E anche i difetti del normale sono e saranno sempre normali. Per chi vuole comunque ricominciare a fare ore di traffico ogni giorno per andare in ufficio, costi quel che costi. E se non è possibile, diamine, almeno non dite che è normale.
Burnout: Le energie sono finite. Non ce ne sono più. Resistere con dignità neanche ci interessa ormai. Lo sbrocco sta per arrivare o l’abbiamo già superato. E sì, il punto di rottura si raggiunge prima di tutto sul lavoro. Il burnout non è un termine generico: si riferisce a una particolare condizione, diagnosticata dallo psicanalista Herbert J. Freudenberger a sé stesso e ad altri volontari con cui aveva fondato una clinica a New York negli anni ‘70. Il burnout è caratterizzato da uno stato di sfinimento perenne, accompagnato da mal di testa, mal di stomaco, affanno e disturbi del sonno.
Gli elementi che possono causare burnout (oltre a una banale pandemia) sono:
Carico di lavoro eccessivo;
Senso di impotenza rispetto al raggiungimento di risultati propri o dell’azienda per cui si lavora;
Mancanza di riconoscimenti, apprezzamenti positivi, promozioni, aumenti di stipendio;
Assenza di un genuino senso di comunità sul luogo di lavoro;
Assenza di politiche eque, oneste e imparziali;
Difficoltà nell’individuare il valore intrinseco delle attività svolte.
Quando si soffre di burnout ci si sente esausti, si prova un senso di ostilità e si lavora male. Spesso ci si sente inadatti al lavoro che si svolge, anche se si ha lunga esperienza nel campo, e per questo si decide di abbandonare. La buona notizia, questa non l’ho letta, è che se cambi lavoro puoi anche guarire repentinamente. Persino in pandemia.
Pandemic wall: È specificamente il burnout da pandemia. Il punto in cui proprio non ce la facciamo più. Dopo un anno trascorso in un film di fantascienza, lontani da ciò che ci è familiare, dalle nostre abitudini, dai nostri affetti, dalla libertà di essere in tanti a una festa e da soli nel dolore. Perché la cosa più grottesca di quest’anno è che le feste ce le siamo fatte da soli a casa mentre la sofferenza l’abbiamo vissuta tutti insieme. L’abbiamo persino cantata sui balconi, accompagnati da estranei straordinariamente empatici. Il punto è: a che titolo mi lamento se stanno tutti come me?
Fatto sta che le energie scarseggiano. Non ci aspettavamo che durasse tanto e, quando l’abbiamo capito, non ci abbiamo comunque creduto fino in fondo. E ora invece fino in fondo non riusciamo neanche a sperare che finisca.
Come se fosse lunedì
Il proposito che ho rimandato la settimana scorsa
Devo ricominciare a fare yoga ogni giorno, per tenere a bada i nervi e visualizzare una me in formissima quest’estate.
Visto letto sentito 🙈🙉🙊
WandaVision
Quanto mi è piaciuta questa serie da uno a dieci? Mille. Le prime due puntate le ho detestate, così come ho detestato Edoardo, che mi ha suggerito di vederla, e Marito, che ha insistito per farlo. Alla terza puntata ho dovuto chiedere scusa a entrambi perché è una serie bellissima, originale, emozionante, divertente, mai noiosa (rivaluti anche le prime due puntate dopo che vai avanti, giuro).
Mi ha commosso e spaventato perché contiene un bel po’ delle preoccupazioni che mi affliggono normalmente. Molto puntuale è la fuga dal dolore attraverso una realtà posticcia e confortevole. Ma non dura a lungo. La verità prima o poi devi affrontarla e subirla, per superarla.
Per vedere la serie ti servirà più di un riferimento Marvel, quindi puoi metterti al passo guardando questi film qui. E anche se non sei fan delle storie di supereroi, ti dirò che vale la pena guardarti una lista di film che non ti piacciono solo per poter essere in grado di seguire poi WandaVision. Fidati per una volta.
Pinkabbestia
Solo qualcosa di rosa
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Photo by Fineas Anton on Unsplash
Du spicci
Sì ma poi me lo metto?
Zara - € 59,95
Guilty Pleasure
Ormai hai un po’ capito come funziona questa newsletter. Di solito ti porto una tesi, o quella che all’inizio mi sembra una tesi, raccogliendo fonti e suggestioni, per arrivare a comporre un filo. Che non sempre è logico, talvolta forse è più emotivo, ma è un filo. E i fili filano.
Oggi invece no, non fila granché. E il motivo è che il percorso è diverso. Non ho raccolto, ho sparpagliato. Ho preso i pezzi e li ho messi sul tavolo. Per averli davanti e farlo insieme a te.
Mi sono preoccupata meno di piacerti o di allietarti la giornata e più di quello che veramente volevo dire e dirti. Un po’ egoista, mi rendo conto.
Il fatto è che comincio a pensare che forse ogni tanto fa bene farsi del male per cercare di capire cosa sta realmente succedendo. Anche se si ha paura. E quindi oggi concedimi di affacciarmi per iniziare a sondare, di controllare la temperatura con la punta del piede.
Non è detto che poi dobbiamo tuffarci. Dalla prossima settimana magari riprendiamo la via più sicura per non impazzire, quella in cui non ci pensiamo e proviamo a sorridere e distrarci con piccole ossessioni, colpi di testa, nuovi hobby e obiettivi.
Saluti
Questa newsletter è una velleità fragilissima. Infondile sicurezza tessendo le sue lodi in giro.