Ieri è stata una splendida giornata primaverile. È iniziata con un controllo medico all'alba (è andato tutto bene, non ti preoccupare), proseguita con un pranzo piacevolissimo e un pomeriggio in compagnia di un'amica che ha il magico potere del riordino sul mio umore.
Oggi invece piove, è tutto grigio, ma gli effetti di ieri continuano a farsi sentire. E poi questi spiragli di luce che arrivano in periodi difficili e confusi rafforzano la mia convinzione che alla fine si riesce a sistemare tutto. Si riemerge.
Non sono ottimista, ormai lo sai, però sono metodica e alla fine, tassello dopo tassello, riesco a ricomporre un puzzle. Forse l'immagine finale non sarà quella che avevo in mente a 16 anni, il mese scorso o anche solo ieri, ma qualcosa ne esce. E io nel frattempo avrò imparato almeno a fare un puzzle.
Quello che mi resta da capire è cosa devo fare dei pezzi avanzati. Conservarli per le prossime sfide, tenerli sempre davanti agli occhi (ché mi siano da monito) o gettarli via il prima possibile per evitare confusione?
Il consiglio prezioso
Bzzzz: Non sempre il rumore deve essere coperto col silenzio, alle volte basta semplicemente un suono più alto e più piacevole.
Riflettevo
Per natura tendo a mettere in un cassetto chiuso a chiave tutto quello che mi ha fatto male. Lo conservo vicino ma in un luogo sigillato, per ricordare ma senza continuare a soffrire. E faccio di tutto per non pensare a cosa ho messo nel cassetto, di quale cassetto si tratta e dove ho nascosto la chiave.
È una forma di difesa che funziona benissimo nel breve periodo. Poi però ti accorgi che hai affrontato il problema ma non hai affrontato il disagio, non hai perdonato te stessa e chi ti ha fatto male, non hai sviluppato delle tecniche di difesa che ti consentano di schivare problemi o pericoli ricorrenti.
E forse c'è anche di più. Il disagio che vai a nascondere non è solo qualcosa di esterno, non è separato rispetto a te. In quel cassetto metti anche un pezzetto della tua capacità di resistere, del tuo modo di affrontare le cose e di risolverle o chiuderle. E quella parte che abbandoni è una tua ricchezza, un tuo piccolo asset. Ma è veramente un abbandono?
Mi sono imbattuta in un articolo su delle splendide chiese europee abbandonate, lasciate alla mercé degli elementi. Le immagini di questi capolavori aggrediti dalla natura avrebbero dovuto suscitarmi un senso di sconforto o paura e invece ho solo pensato alla pace di quel silenzio che io naturalmente abbino a una lenta rovina.
Certo è più incoraggiante pensare alle forme di valorizzazione del passato che al logorio del disuso. C'è molta più allegria al pensiero che sì, in questo momento il Louvre non può accogliere turisti e quindi impiega tutte le sue energie per effettuare lavori di restauro rimandati da tempo.
Non c'è però da fare confusione. Alcune cose sono da migliorare, affinare, tutelare. Altre invece sono da abbandonare e forse, invece di demolirle con ruspe o cariche esplosive, è meno traumatico vederle deteriorarsi lentamente senza avere certezza della loro data di scomparsa definitiva. Se dosi il dolore ogni giorno ti ci abitui fino alla scomparsa. Ma non sono neanche sicura che quella scomparsa arrivi per forza.
Altrimenti non si spiegherebbe il fascino delle città fantasma. Non tutte sono state abbandonate dall'uomo in modo repentino, alcune si sono svuotate gradualmente. L'estate scorsa ne ho visitata una ormai quasi inghiottita dalla vegetazione, Acherontia (o Acherentia o Acerenthia).
L'incredibile lì è che vittima di abbandono non è solo la città in sé ma anche il sito archeologico che dovrebbe preservarla. Come se lo sforzo per tenere vivo il ricordo avesse ceduto di fronte alla stanchezza. Del resto forse non serve necessariamente un sito archeologico che celebri le città fantasma e che ci ricordi il passato. Loro restano comunque lì, in un cassetto chiuso a chiave anche se a cielo aperto, senza morire mai veramente, continuando a fare male a dosi via via decrescenti.
Visto letto sentito 🙈🙉🙊
Clubhouse
C'è un nuovo social network, Clubhouse.
Te ne vorrei parlare con cognizione di causa ma non ci ho capito nulla. Sono stata invitata da un'amica e mi sono ritrovata in una stanza virtuale che si chiama “Welcome” dove c'erano l'amica da cui ho ricevuto l'invito e una delle due meravigliose fotografe del mio matrimonio, che non vedo da circa 5 anni e con cui ho per mia sfortuna pochi contatti.
In quella specifica stanza non ho potuto far nulla, avevo tre azioni a disposizione collegate a tre icone: una manina per chiedere, credo, il permesso di parlare, un “+” per aggiungere qualcuno alla conversazione (cosa vietata perché la stanza era chiusa) e un geniale “leave quietly” per abbandonare la conversazione.
In questa stanza, come ti dicevo, non sono riuscita a fare niente. Così ne ho creata un'altra e mi sono ritrovata a fare sostanzialmente una telefonata con la persona con cui già parlo lungamente al telefono ogni giorno.
Fin qui quindi Clubhouse non mi ha dato proprio grosse soddisfazioni. Però ora mi arrivano tante notifiche che mi avvisano di altre persone, più o meno famose, che stanno chiacchierando tra loro. Voglio unirmi? Sì ma che faccio? Entro e mi infilo in conversazioni così a caso?
Però poi mi chiedo perché no? Commentare su facebook, instagram, twitter non è la stessa cosa? Però lì si scrive. Bè qui si parla. Come mai mi desta tutto questo imbarazzo? Io non faccio altro che parlare, parlare, parlare. E mi piace anche ascoltare. Sono così entusiasta dei podcast. Questo non potrebbe essere proprio una versione più partecipata e interattiva di un podcast?
Voglio provare a essere aperta. Voglio vedere se fa per me. Questa è ufficialmente la prova del nove: sono una boomer o posso ancora stare al passo?
Pinkabbestia
Solo qualcosa di rosa
Du spicci
Che ho voglia di leggerezza si vede?
Ichi - € 39,97
Guilty Pleasure
Mi piace parlare, mi piace ascoltare. Però deve essere sempre tutto ordinato. Ecco perché rispetto a Clubhouse ho qualche remora. I social difficilmente sono ordinati, e quasi sempre ci sfuggono di mano e creano caos. E a me il caos non piace, mi destabilizza.
Anche i rumori per me devono essere ordinati, lineari. Ad esempio mi rilasso se sento il rumore un fon, di un'aspirapolvere, di una lavatrice, della pioggia (sì, questo è più affascinante ma non mi disdegnare gli altri ché ci tengo). Alle volte li uso per addormentarmi. Avevo anche scaricato una app per bebè con tutta una serie di rumori apparentemente fastidiosi ma che invece conciliano il sonno dei neonati. E pare sia anche possibile sviluppare una dipendenza da questi rumori.
Mi viene in mente adesso perché sono giorni che leggo notizie legate al rumore.
Ad esempio sul rumore nell'oceano che sta mettendo a rischio la sopravvivenza di molte specie. Il suono è infatti una coordinata fondamentale per tanti organismi marini, come le balene, i delfini, i pesci pagliaccio. E i rumori prodotti dall'uomo (navi, motoscafi, surf, piattaforme, strumenti di rilevazione e di pesca) coprono il suono “naturale” e depistano, confondono, mettono a repentaglio la vita degli abitanti del mare.
Che l'inquinamento acustico sia poi un problema anche sulla terraferma lo sappiamo. Ci sono però degli effetti che non immaginiamo, o almeno a cui io davvero non avevo pensato. Ad esempio all'effetto che i rumori del traffico comportano sull'accoppiamento dei grilli. Tra grilli infatti la femmina sceglie il maschio con cui accoppiarsi sulla base del canto di corteggiamento di quest'ultimo. Se i rumori coprono questo canto la femmina sceglierà un po' a caso e il risultato non farà bene all'evoluzione della specie.
La notizia mi ha stupita, ma non avrebbe dovuto. Del resto si prendono sempre decisioni azzardate se c'è troppo rumore in sottofondo.
Saluti
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