Ma le hai viste?
Questa newsletter è una mia velleità che a quanto pare parla sempre più spesso di tette.
L’ultima foto che ho postato su Instagram è una foto con le mie tette in primo piano. Lo scopo non era fotografarmi le tette, il centro era un cinturone country che non uso mai perché trasforma la mia personalità e non c’è altro indumento o accessorio da abbinare che ne stemperi l’effetto. Però insieme alla cintura, anzi, in primo piano rispetto alla cintura, c’erano le mie tette e il risultato era voluto, mi sono detta perché no, sono le mie tette, sono delle belle tette, sono protette da un maglione pesante, e comunque è né più e né meno quello che ha potuto vedere chiunque mi abbia incontrato di persona in quella mise. E però il focus, tutta l’attenzione in quella foto, era sulle mie tette e sono rimasta un po’ delusa dal risicatissimo numero di like che ho ricevuto, considerato che le mie tette dal vivo riscuotono un grande successo ma anche che poi in generale su Instagram tutte le tette riscuotono sempre grande successo.
Il consiglio prezioso
The line is a curve: Se non capisci puoi comunque continuare a osservare.
Riflettevo
Non capisco, dove ho sbagliato?
La prima risposta che mi sono data è che ‘ste tette fossero troppo coperte, non ho postato un nudo, né una bella scollatura, si tratta di una sagoma, della forma delle mie tette nascoste all’interno di un maglione neanche attillatissimo.
E però questa cosa mi ha convinto poco, perché questa foto a me sembra più sessualmente provocatoria della sfilza di foto in bikini che ho pubblicato quest’estate, sempre su Instagram, con grande costanza e sfoggio di disinvoltura.
Sì, non dico disinvoltura e basta ma sfoggio di disinvoltura, perché io disinvolta col mio corpo non sono mai stata davvero e l’idea di esserlo (più o meno) ma soprattutto di dimostrare di esserlo (a pieno) mi aveva reso orgogliosa di me. Quindi più che pavoneggiarmi del mio corpo mi pavoneggiavo della voglia di mostrarlo.
Ed è vero che mi sentivo particolarmente in forma e anche particolarmente annoiata, ma credo che ad agosto a me sia successo proprio qualcosa di importante, che ha sicuramente a che fare col mio corpo ma che mi ha anche cambiato l’umore aiutandomi a interrompere una china che stavo percorrendo un po’ a occhi chiusi, per paura di guardare e di guardarmi.
Il nome e forse l’esistenza stessa di questa newsletter si regge sul mio terrore dei 40 anni. E insieme a te li ho pure compiuti ‘sti cazzo di 40 anni. E poi ne ho compiuti anche 41 ma tu non c’eri, o meglio, non c’ero io, non ti scrivevo più. E sai perché non ti scrivevo più? Proprio perché stavo percorrendo quella china che però in qualche modo, non so bene come, a un certo punto ha cambiato un po’ inclinazione.
Insomma, certo, la questione è il corpo, il mio corpo adesso, che non è quello del picco assoluto raggiunto personalmente intorno ai 25 anni (lo sapevo a 25 anni? no, figurati, ero piena di complessi) ma non è neanche quello dei 28 anni che ha sedotto la sua ultima preda, che ora, povera bestiola, porta il nome di Marito.
Non è più quello il mio corpo, e negli ultimissimi anni non è stato facile accettarlo. Ed è stato un dramma fare i conti con un decadimento che procede lentissimo e che però si svela a stadi improvvisi, ad appuntamenti. All’improvviso quel lembo di pelle ha una nuova consistenza, all’improvviso quella ruga diventa permanente, all’improvviso quel movimento non lo sai più fare. E siccome sai che a quell’appuntamento il corpo ci è arrivato scorrendo sotterraneo verso valle, sai anche che forse a un certo punto il dislivello diventerà cascata e tu non potrai fare altro che cadere, scivolare giù senza appigli.
E però mi stride, questo movimento inesorabile verso il basso, quando la questione del mio corpo in realtà l’ho sempre vista come in salita. Per lo sforzo di tenerlo in forma, va bene, ma anche e soprattutto per il suo ruolo, spesso di ostacolo o limite, nella mia vita.
Perché quei like che adesso mi mancano su Instagram, e che non erano una miriade neanche ad agosto da seminuda a dirti la verità, potrebbero essere occhi o apprezzamenti che non mi rendevano felice quando ero giovane e che mi metterebbero a disagio se arrivassero anche adesso. E quindi quei like mancati che io vedo come un insuccesso, magari sono uomini illuminati che non vogliono oggettificare le mie tette. Che grazie a dio non mi direbbero dal vivo “ma che belle tette” e che perciò quel like su Instagram non me lo mettono.
Certo, lo so che non è così, ma potrebbe. E pensare che esista questa possibilità mi inchioda immediatamente sul tilt che fa la questione del mio corpo, o del corpo delle donne, dal giorno maledetto in cui abbiamo iniziato a ragionare sul tema. Non maledico quel giorno perché penso che la questione non vada posta, anzi, me la pongo, eccomi, sto proprio qua a pormela, però non si risolve, non c’è modo di risolverla, resta un groviglio terribile che non si può dipanare.
E certo che ti cito Il corpo delle donne, che quando ho visto la prima volta mi ha fatto uscire sangue dal naso, nel tentativo di capire come si potesse abbracciare senza remore il giustissimo tentativo di emancipazione della donna dall’immagine predominante sui media, senza però che questa emancipazione diventasse poi una critica a chi si vuole spogliare, a chi vuole usare il proprio corpo, a chi vuole ricorrere alla chirurgia estetica, a chi vuole mostrare le proprie tette ovunque.
È passato tantissimo tempo ma la questione, il groviglio, è ancora tutto là, non si è sciolto. Tant’è vero che adesso stiamo parlando, e quindi, sì, ti cito anche questo, del doppio standard delle due campagne pubblicitarie di Calvin Klein con FKA Twigs e Jeremy Allen White.
E divento pazza se la soluzione è consentire il nudo di un uomo e vietare il nudo di una donna.
Poi la soluzione si complica pure perché qualcuno intorno si chiede (e alle volte mi contesta) come si possano conciliare gli apprezzamenti pressanti sul corpo di un uomo, che adesso possono fare anche le donne perché hanno conquistato una libertà sessuale, con la condanna agli apprezzamenti volgari sul corpo della donna.
Ma io che ne so. Non l’ho capito ancora. E non so neanche se è una questione di tempo. Perché è vero che è tutto relativamente nuovo, sono cose – diritti, istanze, libertà – arrivate da poco tutto sommato, se messe in prospettiva rispetto alla condizione della donna nella storia, e non è facile riuscire a delinearne i contorni e le regole. Ma non è detto che si risolvano, magari rimarranno per sempre domande, almeno per me.
Anche perché quello che non riesco a definire è frutto di percezioni non ben codificate o metabolizzate, che scorrono sotto pelle dall’adolescenza, quei fastidi, quelle sensazioni di disagio, quei sensi di colpa e alle volte effettive paure, che mi hanno spinto a difendermi e, per farlo, spesso a coprirmi.
E, ora che la questione è universale, io mi ritrovo contemporaneamente a risolvere la mia, individualissima, personale. Quella di un paio di tette che soccombendo alla forza di gravità vorrebbero portarmi giù insieme a loro mentre io faccio rafting controcorrente nel tentativo di spogliarmi.
Perché il terrore di quello che succede all’interno del corpo è ormai superiore alle minacce che gli arrivano da fuori e quindi ho voglia di esporlo al pericolo, di esporlo e basta per sentire che ancora c’è e non è precipitato.
Pinkabbestia
Solo qualcosa di rosa
Trittico rosa powered by Franco
Du spicci
Una tovaglia che mi piace, peccato siano lentissimi nelle consegne. Però se hai pazienza eccotela.
La Redoute - € 19,49 (in saldo)
Saluti
Questa newsletter è una mia velleità, che oggi guarda al suo corpo con l’intenzione di proteggerlo da sé più che dagli altri.
Se si potesse commentare con foto ti metterei la foto delle mie tette (con t-shirt) dello scorso Sanremo, pubblicata su Instagram con un “Pensale libere” molto divertente. E ho anche immaginato una serie di commenti qui sotto con foto di tette (vestite) che sarebbe stato molto divertente 💕
Bellissima la riflessione sul dentro e fuori 💘