Sulla carta potrebbe essere il mese più brutto dell’anno. Al lavoro hai una serie di scadenze improrogabili e i tuoi clienti ti lanciano addosso email e mozziconi di progetti per essere sicuri di chiudere le loro cose entro agosto, così da poter andare in vacanza tranquilli. Ma anche tu ci vuoi andare in vacanza e quindi provi a chiudere questi progetti in tempi record per fare in modo che a settembre il rientro non sia un inferno. E devi anche finire di organizzare quella vacanza che stai per concederti, e che sai che sarà bella ma quanto sarebbe stato meglio farla a luglio quando le spiagge e le città sono meno affollate perché tutti nel frattempo hanno una serie di scadenze improrogabili e clienti che lanciano addosso cose e progetti da chiudere così da poter andare in vacanza.
Il consiglio prezioso
Drawn together: Se non sai disegnare mettiti in posa.
Riflettevo
E, insomma, di base non sono giorni agevoli, grazie a una coda di giugno che mi ha preso alla sprovvista e che ha provato a soffocarmi con un caldo spaventoso e una stanchezza inevitabile.
Però, mentre dribblo caos e cose da fare, mi rendo anche conto che mi sto aggrappando a una voglia di vivere e ridere che non dovrebbe stupirmi, considerata la congiuntura storica sfortunella, ma che un po’ comunque mi mette in allarme, perché il timore che questo sia un canto del cigno, non solo mio ma del globo intero, non riesco davvero a togliermelo dalla testa.
E così, in modo frenetico e come se fosse l’ultima occasione al mondo, vivo giorni pieni e riesco in una settimana esatta ad andare 3 volte fuori a cena, assistere a un concerto insieme a 60.000 persone, avere i muratori in casa per ben 2 volte, cambiare medico, affrontare una gita all’agenzia delle entrate e concedermi anche, pensa il lusso, un piacevolissimo aperitivo in terrazza con un po’ di amici.
Non so se questa coordinata ti aiuta a inquadrarmi nella mia quotidianità ma ci tengo a dirti che nel frattempo Roma è stata anche circondata dalle fiamme e ricoperta dal fumo. E in questa familiare atmosfera di rassegnazione, che ha un gusto squisitamente apocalittico, io provo a restare combattiva, incoraggiata anche dal nonsense diffuso, rappresentato al meglio da un cartellone che pubblicizza il campionato mondiale di fuochi d’artificio, che si terrà qui, in questa città, in questi giorni, con questo caldo, con questa atmosfera, con gli incendi appena spenti.
E se non se li pone nessuno, questi crucci relativi a opportunità e senso del ridicolo, allora non voglio pormeli neanche io. E mi ritrovo a muovermi senza specchietto retrovisore, come se non volessi o non riuscissi a rivolgere alcuno sguardo al passato e alla sciagura imminente che sembra rincorrerci.
E mi scordo all’improvviso di tutto quello che è successo e che sta succedendo. Ed è un bell’esercizio, in cui in questo periodo credo di essere piuttosto brava, che consiste nel guardare tutto come si guardano le immagini su craiyon, quelle create da un’intelligenza artificiale a partire da una cazzata qualsiasi che descrivi tu.
Di queste immagini, di cui era pieno internet il mese scorso, mi sembra sia adesso piena la vita anche fuori dallo schermo di un computer.
È tutto colorato in modo simile alla realtà, ma un bel po’ storto, sbagliato, sicuramente disturbante.
E gli estranei che incontro, ad esempio quelli che componevano la folla immensa del concerto a cui ho assistito, li guardo come se fossi in visita allo zoo, con un senso di distanza e curiosità che mi porta a chiedermi se anche loro sospettano che quest’euforia sia indotta, quasi imposta, dalle circostanze. Anche loro si sentono obbligati a divertirsi? Io sì, io sento che devo, non perché mi serva, non perché ne avverta genuinamente la necessità, ma perché non ho scelta, e devo farlo il prima possibile.
E così, nel viaggio in Bretagna con Marito, che è programmato per agosto, ho dovuto per forza infilarci qualche giorno a Parigi, per fare tappa a Disneyland, a 40 anni, senza figli, trainata dalla calamita potentissima di montagne russe, attrazioni a caso, parate festose di Topolino o di chi ne fa le veci.
Mi sembra l’unica soluzione ragionevole, il parco dei divertimenti, il posto più giusto dove atterrare col mio canadair monoposto, con cui ho la sensazione di muovermi in questi ultimi giorni, alla ricerca di incendi da domare. Proprio io che non guido neanche la macchina e che, se anche la guidassi, non saprei nemmeno dove andare.
Guilty Pleasure with Guests
In questa rubrica un amico o un’amica della newsletter mi racconta il suo guilty pleasure. Questa settimana il Guilty Pleasure è di Antonio Marzotto.
Antonio nella vita è uno scrittore e sceneggiatore, e produce anche contenuti nella sua agenzia creativa Necos. Nel tempo libero, oltre a scovare perle nella sconfinata prateria di internet, pone domande curiose a cui fornisce spesso risposte inaspettate. Lui si definisce il Pippo Baudo di questa newsletter, ed effettivamente l’ha resa qualcosa di concreto, forzandomi a uscire allo scoperto e dandomi spesso spunti preziosissimi. Non l’ho mai ringraziato esplicitamente e non lo posso fare neanche oggi visto che già devo dirgli grazie per aver scritto non solo qualcosa di bello ma anche perfettamente in linea con i miei pensieri attuali e progetti imminenti.
Questo è il suo guilty pleasure.
Ho un problema con i parchi di divertimento. Nel senso che li adoro e al tempo stesso ne riconosco l’orrore consumistico, il caos sensoriale, l’iperstimolazione fatta attrazione a pagamento.
Nonostante questo conflitto, che mi si presenta di frequente nella forma di un sogno ricorrente, non posso fare a meno di sdilinquirmi quando sento il suono di sferragliamento + urla di terrore (sono un serial killer?); mi emoziono se leggo una cosa come “Nuova Attrazione Estate 2022” in un carattere puffoso; studio maniacalmente le mappe online per capire la cura nella tematizzazione; seguo alcuni youtuber che recensiscono parchi di tutto il mondo, incapace di credere che possa essere una professione vera (e soprattutto che non sia la mia); cerco da tempo di manipolare mia figlia quattrenne per far sì che sia lei ad accompagnare me alla scoperta di nuovi parchi. Ma il senso di straniamento rimane. E forse, mi dico, è colpa del sogno ricorrente.
Il sogno, che mi perseguita da almeno vent’anni, è questo: sono in un grande parco a tema, la voce dall’altoparlante dice che sta per chiudere, è brutto tempo, tuona ma non piove ancora, c’è poca gente, fa freddino, e io sono in preda alla frenesia di dover provare tutte le giostre prima che mi caccino, ma tutto ciò che riesco a fare è un unico giro finale su una montagna russa escheriana.
E mentre salgo nel mio carrellino temo di non riuscire a godermela, perché so che tra poco dovrò andarmene per sempre. Sono felice e triste in egual misura, sono un bambino sensitivo che vede sé stesso quarantenne, sono una mascotte a forma di persona.
E improvvisamente, quando la salita è finita e il vuoto mi si spalanca davanti, sento di essere vicino a capire qualcosa di questa pazza pazza vita, qualcosa di importante, qualcosa di vero e prezioso.
Poi mi sveglio.
Pinkabbestia
Solo qualcosa di rosa
Du spicci
Un passo falso alla volta.
Anniel - € 119 (in saldo)
Saluti
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