Hai controllato nello spam?
Questa newsletter è una mia velleità che alle volte si perde tra simboli diversi.
No, scherzo, non sono finita nello spam tutto questo tempo, è tutta colpa mia, non ti ho scritto. Ti direi che non ho avuto tempo di scriverti, e in parte è così, ma la verità è che non ho avuto la motivazione per farlo. Ne avevo in qualche modo voglia ma questa voglia non contemplava il processo di scriverti, era una semplice voglia di dire sì, questa settimana ce l’ho fatta, ho inviato la newsletter. E nella mia testa mi vedevo anche premere “send” davanti a un testo già scritto, pronto, magari redatto da un folletto talentuoso che vive nel mio computer. Folletto che però, mi sa, è un po’ demotivato anche lui negli ultimi tempi e quindi come team non stiamo funzionando molto.
Il consiglio prezioso
I can assure you mine are still greater: Fai un elenco di tutte le cose che puoi fare con un problema.
Riflettevo
Non che la motivazione mi sia tornata tutta d’un tratto o che io abbia in questo momento grande energia o tempo a disposizione, ma mi sono resa conto che l’ultima volta che ti ho scritto stavo soffrendo tantissimo dopo l’estirpazione (no, fidati, non è stata un’estrazione) di un dente del giudizio.
E indovina un po’ cosa mi tocca la prossima settimana? Yuppi, un altro dente del giudizio, un nuovo trauma.
Dai, che sarà mai, quanto vuoi che mi lamenti? No, a ‘sto giro mi fai lamentare invece, perché l’altra volta tutti a dirmi che sarebbe stata una passeggiata e poi mi sono trovata dolorante e reclusa per più di una settimana. Quindi questa volta col cazzo, perdonami, sono terrorizzata e ne ho tutte le ragioni e non voglio relativizzare e pensare che c’è di peggio, perché certo che c’è di peggio e ho paura pure di quello, sempre, e certo che mi sono capitate cose peggiori nella vita e me le sarei risparmiate onestamente, e comunque è una cosa brutta, anche se non la più brutta possibile, e io avverto una sensazione di pericolo, e tu mi devi capire, e soprattutto devi apprezzare il fatto che questa paura in questo momento mi sta pure spingendo a scriverti.
Quindi accoglimi. Eccoci.
Sì, sono un po’ tesa, scusa. Del resto, adesso che lo so pure io come funziona, adesso che mi è palesemente andata male la prima volta, come vuoi che gestisca questo universale, ostinato voler ridimensionare il mio problema?
Bisognerebbe fare un ragionamento su come si affrontano i problemi degli altri, non dico trovare una soluzione o una best practice, però almeno capire che ci succede nella testa, quanta distanza riusciamo a mettere quando una cosa non ci riguarda e quanto poco capiamo di una paura quando non è davanti a noi o quando l’abbiamo già affrontata o ne abbiamo affrontate di peggiori.
Io stessa spesso mi trovo a fare uno sforzo importante per riuscire a solidarizzare, quando in realtà vorrei solo dire a chi ho di fronte “sì ma tu lo sai che sto passando io?”. E alle volte non ci riesco neanche a censurarmi, e dico qualcosa tipo “eh ma io di più” o “io da sempre”, “io da prima”, “io peggio”. E quando lo dico mi rendo subito conto che, se me lo sentissi dire io, mi incazzerei a morte. E infatti mi incazzo a morte quando mi succede.
Poi alle volte non è neanche un problema di solidarietà, c’è un problema di comprensione tout court. Alle volte il problema non lo capiamo proprio, e attorno a noi qualcuno lo capisce ancor meno e ci confonde pure, perché un problema può essere facilmente trasformato in altro se serve a dimostrare altro.
Tipo prendi il caso di Ilaria Salis, che ora è ai domiciliari ma che è stata detenuta in condizioni brutali per mesi, da prima ancora che io ti inviassi l’ultima newsletter, per dire. E mentre il problema era la disumanità con cui veniva trattenuta in carcere, c’era tutto un parlare del tipo di reato commesso, se l’aveva commesso o no, quanti ne aveva commessi prima. Cose che possono rappresentare in generale un tema ma non quando si parla di condizioni carcerarie.
Le condizioni in carcere non c’entrano niente con colpevole o innocente. Anzi, in carcere, in un mondo ideale, ci dovrebbero stare solo i colpevoli. Quindi, quando ci preoccupiamo di condizioni disumane in carcere, il tema è come tutelare i colpevoli, non gli innocenti. A loro dobbiamo garantire un trattamento dignitoso.
Eppure, mentre parlavamo di condizioni disumane qualcuno diceva “eh sì però il reato”. E siccome non c’era ancora una condanna, e quindi non c’era ancora certezza che il reato fosse stato effettivamente commesso, non si parlava manco più del reato commesso per finire lì, in quel carcere specifico, ma di altri reati, commessi qui, prima. E allora io non ci ho capito più niente, e non ci ha capito più niente nessuno secondo me, perché ci siamo messi a interrogarci su chi poteva candidarla alle europee per garantirle l’immunità. Ma il problema non era evitare una condanna, il problema era sempre trattare decorosamente una detenuta. Perché se lei non finisce in carcere siamo felici, per carità, ma in carcere ci finisce comunque sempre qualcuno e non solo in Ungheria, anche qui, e forse questa poteva essere un’occasione, non dico per risolvere il problema, ma per parlarne un po’, visto che mi sembra se ne parli davvero poco, no?
Ora non è che devi votare Ilaria Salis, vota chi vuoi, io ad esempio non voterò il suo partito e quindi non voterò lei, del resto qualsiasi test o partitometro a cui mi sono sottoposta negli ultimi giorni mi dice che altri simboli mi rappresentano più del suo. Però è curioso che poi in fondo tutto ruoti comunque attorno a una ricerca di simboli, simboli di una causa e simboli di partiti, ma anche simboli per esprimere solidarietà o un problema o una paura o un pericolo.
Per quanto riguarda i simboli di pericolo in particolare, mentre cercavo un modo per esprimere il mio di pericolo, ho trovato un video interessante e ho imparato che questi cambiano nel tempo e non riescono a durare per sempre. E questo proprio perché di solito ne abusiamo, e così facendo li pieghiamo e li trasformiamo, e li rendiamo simboli di altro che magari pericolo non è. Oppure ognuno sceglie il suo e così si fa una gran confusione e nessuno capisce più cos’è pericoloso.
E quando poi degli studiosi si mettono lì, a sceglierne di universali, l’impresa diventa tutt’altro che facile, perché, a quanto pare, per sceglierne di utili, che siano efficaci per tutti, bisogna orientarsi su qualcosa di “memorable but meaningless”.
Ecco, mi fa impazzire che il simbolo di un pericolo, per poter funzionare, debba essere privo di significato, così da potergliene attribuire uno evidente che potrà essere trasmesso ai più.
Memorable but meaningless poi mi sembra la più giusta delle definizioni, appropriata a molti dei dibattiti su temi importantissimi. E sì, anche al dolore fisico che ho provato mesi fa e che sto per riprovare di nuovo.
Pinkabbestia
Solo qualcosa di rosa
Du spicci
Boh, non ci vediamo da tanto, mi sembra giusto restare coi piedi per terra e proporti un outfit rilassato, semplicione.
Ichi - € 49,95
Saluti
Questa newsletter è una mia velleità, che non si fa aiutare da folletti talentuosi. Se vuoi aiutarla tu suggeriscila in giro.
Bentornata e 💪🏻🫶🏻per ciò che ti aspetta (so cosa vuol dire: li ho tolti tutti e 4)
Oh, quanto mancavi 💚