Dopo aver festeggiato questo primo anno insieme la scorsa settimana, avrei dovuto fare una serie di bilanci.
Quelli che di solito vengono spontanei quando il tempo viene scosso perché è scandito da qualcosa, da un numero x sul calendario che sembra interrompere un flusso che filava e che all’improvviso si spezza e si separa da quello che verrà.
E quello che verrà, sebbene ancora non esista, già si permette di guardare a quello che è stato con un po’ di presunzione, ripetendo (a sé, al suo predecessore e a te che guardi con curiosità questa scissione) “io sarò meglio altrimenti non ha neanche senso esistere”.
E quindi sì, questo futuro esigente, quello a cui non sei preparata e che si pone degli obiettivi ambiziosi ma poi demanda a te il compito di realizzarli, ti guarda fisso e ti chiede con arroganza “allora, che hai intenzione di fare?”.
Ma io non ho intenzione di fare nulla, ho intenzione di continuare, sì, di resistere, di insistere anche, ma non ho pensato a uno step successivo. O forse ho pensato che ci sarebbe stato prima o poi, ma non adesso, e di certo non per colpa di quel numero sul calendario.
Il nuovo arriva quando arriva, quando c’è qualcosa che lo scatena e, fammelo dire, anche quando c’è modo e tempo di assecondarlo. E non ci sto a questo ricatto, non mi va di essere costretta sempre a un più di prima, a un meglio di prima come unica condizione che giustifichi l’esistenza di quel prima. Come se quel prima fosse automaticamente da buttare via quando non è in grado di evolversi.
Il prima è comunque importante, il prima è stato bello, il prima è ancora qui. E, soprattutto, se buttiamo via tutto si torna a come stavamo prima di quel prima, quando non c’era nulla, e allora è meglio adesso anche se si va avanti piano, se si aspetta ancora un po’ e se si ha la sensazione che tutto è come prima.
Il consiglio prezioso
Orienteering: L’orologio non è una bussola.
Riflettevo
Ma poi aspettare mica è facile. Abbiamo sempre voglia di sapere cosa succede dopo, no?
Ci piacerebbe mandare in fast-forward un paio di scene, quelle parti che richiedono fatica e portano poche gratificazioni, per vedere se alla fine queste gratificazioni arrivano.
E quindi spingiamo e spingiamo per accelerare il processo. Spingiamo per crescere. Perché lo scopo è crescere a prescindere, svoltare, fare il botto.
E anche se sono una persona prudente, che non ha alcuna inclinazione per le svolte repentine, mi rendo conto che non sono poi neanche dotata di grande pazienza, non sono granché brava ad aspettare.
E invece aspettare è importante. Perché l’attesa ci educa, in un certo senso, e ci trasmette delle buone abitudini, una delle quali sembra sia la perseveranza.
Ma è davvero l’attesa che ci fa diventare perseveranti? Non è vero piuttosto il contrario? Non sono piuttosto la costanza e la tenacia a farci sopportare l’attesa e a farci concentrare più sul processo che sulla nostra idea (spesso campata in aria) di risultato?
Perché, certo, un risultato in testa lo devi avere, ma devi anche contestualizzarlo, assegnargli il giusto peso o un orizzonte temporale realistico, e concentrarti piuttosto sui frammenti di sforzo quotidiano che quel risultato richiede.
E sì, anche io ho letto ovunque che bisogna visualizzare sempre il traguardo per arrivare primi, o il successo per ottenerlo, ma a me questo pensiero frustra, spaventa e distrae.
E sono contenta allora che ci siano anche teorie opposte da abbracciare. Sono contenta di scoprire che, secondo alcuni studi, visualizzare il risultato comporta addirittura una perdita di energia. E che è invece più utile una visualizzazione critica, che contempli anche gli ostacoli e persino un eventuale fallimento, per mantenere viva la motivazione e riuscire a lavorare a testa bassa.
Perché quasi mai il risultato si raggiunge con un semplice salto. Bisogna piuttosto fare un passo alla volta, e quel passo ripeterlo e ripeterlo ancora. E con perseveranza insistere e aspettarsi anche errori e fallimenti.
Non dà a tutto un senso ulteriore il fatto che Perseverance sia il nome del rover con cui stiamo cercando tracce di una vita ormai estinta su Marte?
Visto letto sentito 🙈🙉🙊
Pig
E poi, quando pensi di educarti a un nuovo modo di guardare ai risultati, ti arriva un film che ti lascia lì a disagio perché guarda alla vita, e ai criteri per misurarla, da una prospettiva così distante dalla tua che tu non sai neanche cosa stai guardando.
E ti dici che è un film appunto, e anche un film strano, un film che ti deve lasciare un po’ spaesata e quindi di quella distanza ti appropri volentieri, decidi di farne uno scudo, e ti rilassi perché tu stai solo guardando, non sei chiamata a partecipare.
Poi quella scheggia possibile di mondo comincia a tentarti e si fa largo piano piano nella tua di prospettiva. Cominci a pensare che quella singola, assurda vita potrebbe invece avere un senso. E, anzi, non solo ha senso ma dà a tutto il giusto senso, e allora sei tu ad averlo perso questo senso, insieme forse al resto del mondo.
Pig è una bella tentazione, a cui devi cedere, ti devi arrendere. E ci sono riuscita persino io che oppongo di solito sempre grande resistenza nei confronti dei film strani, nei confronti di Nicolas Cage e nei confronti dei film strani con Nicolas Cage.
Pinkabbestia
Solo qualcosa di rosa
Du spicci
Qualsiasi cosa in questo negozio. Qualsiasi cosa.
Saluti
Questa newsletter è una velleità e un esercizio di pazienza. Io mi impegno a coltivarla ma tu continua a supportarla.
Il prima e ‘ il momento della scelta che in qualche modo indirizza il processo ma, mi sembra, che perseveranza e tenacia non ti manchino. Anzi!!! L’orologio non è una bussola, pienamente d’accordo. Non ho visto Pig ma se ti capita vedi “Supernova”, è bellissimo