Sì, oggi devo scriverti per forza, per interrompere immediatamente il flusso di idee sbagliate che sento scrosciare nella tua testa.
Perché magari stai fantasticando sulla lunghissima vacanza che mi sarei apparentemente presa quest’estate o forse pensi che io abbia deciso di abbandonare la newsletter per abbracciare un progetto più ambizioso. O chissà che novità ti sto preparando, come fanno le content creator serie, quelle che arrivano con un incredibile restyling o un evento esclusivo in serbo per te.
Ecco, no, se è così lasciati dire che hai puntato sul cavallo sbagliato. Niente di tutto ciò.
Non sono rientrata oggi dalle vacanze né mi sono presa qualche giorno in più per regalarti una sorpresa pazzesca. Sono semplicemente stata aggredita dalle cose da fare, con una gran quantità di lavoro che non mi ha lasciato molto tempo libero, e una gran voglia di tempo libero che mi ha impedito di dedicarmi a te.
Ci ha fatto bene questa pausa? Ti è mancata la newsletter in queste malinconiche domeniche post vacanza?
E hai voglia adesso di riceverla di nuovo? Oppure no? Hai per caso messo tra i buoni propositi una diversa gestione del tempo, che sfrutta la domenica per cose più costruttive, più importanti?
Il consiglio prezioso
Unapologetic: Ci sono un sacco di modi per scusarsi senza scusarsi.
Riflettevo
Io quest’anno non ho avuto tempo neanche per i buoni propositi. Ti ho già detto che di solito a fine estate con il mio amico Franco ci mettiamo lì e stiliamo una sorta di lista. È sempre piuttosto sconclusionata e buttata giù di getto. Non sono quasi mai affidabili né le premesse né i risultati. Quest’anno però è stata così sciatta che al momento può essere riassunta solo in:
dobbiamo stilare la lista dei buoni propositi;
io devo preoccuparmi meno dell’etichetta da seguire in ogni situazione.
Non è granché, lo so pure io, ma davvero non abbiamo avuto tempo. O forse non ne avevamo voglia? Perché la questione è sempre questa, non tanto il tempo ma la voglia, la motivazione.
Ho guardato questo TED Talk sulla gestione del tempo e mi ha colpito una cosa che potrebbe sembrare banale, ma a cui io non penso mai, e cioè che la ricompensa che ci aspettiamo da un’attività ha un peso enorme sulla quantità di tempo che siamo disposti a concedere a quell’attività.
Devo ammettere che su di me non è tanto l’aspettativa di una ricompensa che funziona, quanto la soddisfazione effettiva. Devo avere un assaggio di quello che otterrò, un risultato, o almeno un complimento.
Ad esempio, sai perché ti ho scritto a ferragosto? Sì, mi mancavi, sì, volevo farti una sorpresa, sì, non avevo grandi impegni quel giorno, tutto vero. Ma la molla è stata l’incontro con una mia compagna di liceo che non vedevo da più di 20 anni e che mi ha detto che le piace la newsletter. Ecco, un complimento, e mi sono messa a scrivere.
Ora, sebbene ci siano particolari meccanismi masochistici che ti fanno odiare a morte chi ti incoraggia, quando il complimento o il riconoscimento o la ricompensa sono mirati a una specifica cosa che hai fatto non c’è bassa autostima che tenga: l’effetto è positivo. Ed è per questo che i programmi di Rewards and Recognition sembrano essere quelli più efficaci come incentivo alla produttività aziendale.
Perché un riconoscimento sembra attivi nel cervello lo stesso sistema di ricompensa che si attiva durante il sesso. In particolare, lo striato ventrale risponde allo stesso modo se riceviamo denaro o complimenti, ma sembra che gli elogi, a differenza dei soldi, attivino un rilascio di dopamina tale da volerne ancora, di più. Quindi quando ti dicono “che bella questa cosa che hai fatto” il tuo cervello capisce “falla ancora”.
Per esempio, se arrivi qui tramite i social e ancora non hai deciso di iscriverti, sappi che iscrivendoti mi gratifichi e quindi mi invogli a scrivere ancora. E per renderti semplice l’operazione ti metto il tasto subscribe già qui, un po’ in mezzo al cazzo, e poi continuiamo.
Visto letto sentito 🙈🙉🙊
The White Lotus
Certo, dirti che non ho avuto tempo di scriverti e poi svelarti che ho guardato un’intera serie in una sola domenica non ti regala una bella immagine di me. Ma questo poi te lo spiego, ora non ci pensare.
Sappi comunque che parliamo di una sola stagione, sei episodi. Non è gravissimo in una giornata, si può fare, su. E poi la serie è The White Lotus ed è meravigliosa.
È ambientata in un hotel di lusso alle Hawaii, dove si intrecciano, in dinamiche via via più contorte o imbarazzanti, le vicende degli ospiti e dello staff dell’albergo.
Più che una commedia, la serie è una satira sociale che svela quanto ancora siamo confusi e in difficoltà rispetto a temi come white people problems, white privilege, cancel culture, effetti del me too, fantasiose ipotesi di reverse discrimination.
Non mi costringere a scusarmi per l’uso eccessivo di anglicismi, ormai purtroppo parlo così e andare a cercare la traduzione in italiano di ogni cosa che abitualmente dico in inglese mi sembra un po’ ipocrita.
Non solo, visto che ci siamo, ti dico anche che la serie è cringe.
Pinkabbestia
Solo qualcosa di rosa - Oggi powered by Viviana e Lazzaro
Du spicci
Qualcuno sta cercando un blazer per il rientro al lavoro?
Zara - € 59,95
Guilty Pleasure
E adesso, come promesso, mi giustifico anche sul binge watching, che però, non lasciarti ingannare, non sarà il guilty pleasure di oggi.
Mi capita, e mi capita spesso, di incastrarmi davanti a uno schermo, per guardare non solo serie stupende ma anche spazzatura vera e propria. Così come mi capita di perdere tempo scrollando a vuoto sul cellulare, leggendo articoli su faide tra influencer che non ho mai sentito nominare, giocando a videogame dalla grafica imbarazzante e dalle dinamiche super ripetitive.
Si tratta di miei personali momenti (o periodi) di deboscio in cui non ho voglia di uscire, non ho voglia di vedere nessuno, non ho voglia di fare niente, di pensare a niente, di pianificare niente. Sì, in particolare di pianificare, di fissarmi obiettivi. E non mi va neanche quando questi obiettivi sono piacevoli, come quando Marito inizia a fantasticare sulle prossime vacanze (di solito durante il viaggio di ritorno dall’ultima vacanza) e io lo vivo come un momento di tensione.
E ho scoperto che questa condizione di apatia e di scarso interesse, per la vita e per il futuro, si trova ormai nel dizionario dell’American Psychological Association alla voce languishing.
Il termine è stato coniato da Corey Keyes per definire il malessere di chi, pur non avendo alcun disagio psichico, presenta assenza di motivazione, di scopo e di voglia di fare.
Di recente se ne sta parlando molto, dopo che Adam Grant, sul NYT, ha associato il languishing alla sensazione di vuoto sperimentata dai più durante il lockdown.
Io che - rifletto adesso - in questa condizione ci finisco periodicamente, durante la pandemia ho paradossalmente abbracciato proprio quello che sembra essere l’antidoto al languishing e cioè il flow: mi sono immersa nelle cose da fare e nei progetti da realizzare.
E li devo sempre tenere a mente i risultati ottenuti, perché possono riuscire a motivarmi quanto un complimento. Poi alle volte spaventano anche. Perché più porte pensi di aver aperto e più ci sarà da fare, più ci si aspetterà da te.
E allora ci sta se ogni tanto una spegne il cervello e decide di stare ferma, in una bolla informe e senza stimoli che sembra comoda, sicura e poco stressante.
Quello che sicuramente non sortisce alcun effetto positivo è il senso di colpa, altro mio abituale compagno di giochi, dal quale sto cercando - ed ecco forse un buon proposito decente - di allontanarmi un po’.
Saluti
Questa newsletter è una velleità che si piega al tempo ma talvolta riesce anche a piegarlo ed è attenta a non spezzare nulla di quanto ha costruito.
Tu spezza gli indugi e condividila con chi vuoi.