Dentro o fuori?
Questa newsletter è una mia velleità che non ha una chiara percezione della realtà.
Ieri mattina dovevo iniziare a scrivere la newsletter ma mi sono incastrata in un videogame. Uno di quei videogame ripetitivi e alienanti che si trovano gratis su internet e che hanno zero trama, zero mordente, nessuna grafica mozzafiato. Hanno solo la capacità di ipnotizzarti per ore e privarti di ogni voglia di vivere, persino di bere e di mangiare.
Sono quei videogame che se devi fare pipì ti viene un nervoso senza senso, perché non ti vuoi alzare. E cominci a odiare il tuo corpo, i tuoi organi e tutte le tue necessità. Arrivi a chiederti ma non potevo nascere pianta?
E invece no, sono umana e non mi posso permettere di stare seduta con la testa dentro lo schermo del computer per più di un tot di tempo. Peccato.
Ma perché ci casco? Perché mi faccio rapire da queste diavolerie?
Forse perché ogni tanto è normale avere voglia di spegnere tutto quello che hai attorno, anche la bella giornata di sole che c’è fuori ma che ti perderai senza vergogna. E sai che dopo proverai una specie di rimorso, una lieve amarezza, ma niente può frenare il tuo deboscio. E ti lasci invorticare senza opporre resistenza.
Perché ti sembra di piegare il tempo quando schivi la realtà, anche se poi sai perfettamente che è un’illusione e che la realtà ti si piazzerà all’improvviso di fronte per dirti “Quando la scrivi la newsletter? La salti anche stavolta? E con che scusa?”.
Sì, la realtà è un po’ inflessibile, un po’ stronza anche, e allora a maggior ragione mi convinco che è comprensibile questa voglia di respingerla che ogni tanto ci assale.
Il consiglio prezioso
Escape: Ci sono tantissimi modi di bucare lo schermo.
Riflettevo
Il problema con queste fughe è che sul momento hai la sensazione di gestirle tu. Di iniziarle e terminarle con una certa autonomia. Poi, quando ti fermi, ti rendi conto che non eri tu a guidare. C’è un meccanismo sotto, che è programmato in modo tale da trattenerti e non lasciarti tornare nel mondo reale.
Sì, non è una novità, la tecnologia ci somministra contenuti sempre più simili a droghe, grazie a dinamiche disegnate appositamente per attirarci, legarci, incastrarci. Ce l’avevano spiegato molto bene in Social Dilemma.
Ora, nel caso dei miei videogame sciocchini la fuga dalla realtà che si realizza dentro lo schermo è netta. Per quello che invece succede con i social, o con tutto ciò che al momento è un ibrido tra virtuale e reale, si fa fatica a individuare il confine. Sono dentro o sono fuori?
Adesso, ad esempio, stiamo tutti parlando di Meta, perché Mark Zuckerberg ha lavorato a lungo a un piano per ingabbiarci in una nuova dimensione. Però, a dire la verità, sono anni che si parla di metaversi.
Pensa che io avevo scritto la mia tesi di laurea su Second Life già nel 2009. E non perché io arrivi prima alle cose. Ero già in ritardo anch’io, perché Second Life era già al suo apice e scatenava già vere truffe finanziarie, vere indagini dell’FBI e vere cause legali.
Io, che avevo iniziato a scrivere la tesi su questo mondo virtuale senza aver praticamente mai frequentato una chat prima, mi sono prevedibilmente disinteressata del tema quasi subito dopo essermi laureata. Poi, senza che quindi seguissi troppo bene il perché e il percome, il fenomeno si era sgonfiato da sé.
Durante il lockdown Second Life ci ha anche riprovato. E nello stesso periodo, per ovvie ragioni, siamo tornati a parlare di nuovo di metaversi, e sono spuntati altri mondi virtuali in cui poter assistere a conferenze, concerti, mostre.
Perché guardare una cosa in uno schermo, tipo lo streaming di un concerto, ci faceva sentire distanti, non presenti. Mentre vedere il nostro avatar lì, che si muoveva in un ambiente virtuale, anche se comunque guardava sempre una cosa in streaming, ci regalava una sensazione un po’ diversa, di maggiore partecipazione.
Ed è un po’ questo il garbuglio che non mi fa più capire cos’è reale e cosa no, quale parte di quello che accade dentro uno schermo si può ancora considerare virtuale.
Perché, ad esempio, se su Second Life c’era una grande quantità di sembianze che potevi far assumere al tuo avatar, forme fisiche, capelli, vestiti da indossare, ora i vestiti virtuali li puoi comprare non solo per un avatar ma per te proprio. Cioè, non proprio proprio per te, però per la tua foto sui social sì. E pensa che questa sembra una vera svolta per influencer, case di moda e, in quanto scelta ecologicamente sostenibile, anche per il mondo reale.
No, il senso non lo colgo appieno nemmeno io. Però ci sono un sacco di cose che non capisco e che poi invece filano. O cose che funzionano quando non dovrebbero. O cose che funzionano, funzionano e poi si scopre che non avevano senso e quindi non funzionano più.
Poi ci sono cose che sembra abbiano un senso e invece ne hanno un altro. Come un bar in Giappone in cui il servizio ai tavoli è svolto da soli robot, che però sono manovrati in remoto da persone che non potrebbero altrimenti lavorare a causa di una disabilità fisica.
Visto letto sentito 🙈🙉🙊
Ora ci sono anche gli influencer “finti” – il Post
Un mesetto fa ho letto un articolo sul Post che mi sembra appropriatissimo qui.
Parlava di un altro fenomeno ibrido, o di uno “spazio ambiguo”, come viene definito proprio nell’articolo: quello occupato da influencer finti.
Ma non finti nel senso che fingono di essere meglio di quello che sono o di vivere vite migliori della propria. Quelli sono gli influencer punto. Questi invece sono finti perché non sono influencer, bensì attori che interpretano il ruolo di influencer.
È un macello lo so, ma tanto alla fine ti lascio il link all’articolo così te lo leggi per bene.
Però il punto è questo: ci sono attori e attrici su TikTok che interpretano dei personaggi, si filmano da soli come dei normali influencer ma recitano dei copioni scritti da FourFront, la startup che si è inventata il tutto.
L’uso dell’hashtag #fictional dovrebbe rendere chiaro a tutti che i protagonisti sono personaggi e non persone reali, e che l’intento è solo quello di intrattenere i follower.
Bene, però poi lo scopo è comunque e sempre commerciale. E in particolare è lo stesso scopo degli influencer veri, cioè guadagnare pubblicizzando beni vari di fronte alla platea del proprio seguito social. Quindi sono veri influencer alla fine?
Senti, leggitelo tu l’articolo perché io più di così non so che dirti.
Pinkabbestia
Solo qualcosa di rosa
Questa me l’ha mandata Laura
Questa me l’ha mandata Francesca
Du spicci
Non semplicissima, sono d’accordo.
Zara - € 29,95
Saluti
Questa newsletter è una velleità virtuale. Io però ti vedo davvero e ti parlo, e non so neanche come ma spesso ti ascolto.