Com'è la Liguria?
Questa newsletter è una mia velleità che, anche quando non fila granché, comunque non si tira indietro.
Sono un po’ in confusione. No, non come sempre, oggi ho le idee confuse proprio su quello che ti vorrei dire.
Perché ti vorrei parlare di green pass ma poi aprirei sicuramente una polemica.
Ti potrei parlare di una polemica, quella attorno a un’uscita di Barbara Palombelli, ma per sapere cosa ha suscitato in me basterebbe rimandarti semplicemente alla Game of Thrones Red Wedding Reactions Compilation senza ulteriore necessità di argomentare.
Ti vorrei parlare di come Claudia Rivelli, sorella di Ornella Muti, abbia argomentato l’acquisto di un litro di Gbl ma diventerebbe una roba da ridere, quando invece se fa ridere dipende dalla veridicità o meno della versione della difesa.
Ti potrei dire del debole che ho per le versioni fantasiose assunte a volte dalla difesa nei casi di cronaca. Come quella del tabaccaio che aveva (secondo te) rubato un gratta e vinci a una signora, e che invece, nel mondo fatato delle mie versioni preferite, è stato vittima di una ludopatica che l’ha incastrato.
Dovrei parlarti di come io mi incastri facilmente in una catena forzata di pensieri che non vanno poi da nessuna parte ma tu questo già lo sai, ah se lo sai, e sarebbe come spiegarti cosa leggi ogni domenica.
Il consiglio prezioso
In full flow: Non puoi perdere il filo se un filo non c’è.
Riflettevo
Che poi ci sarebbe pure una cosa importante da dirti, e cioè che questa settimana è uscito l’ultimo singolo dei Placebo.
Ora, se volessi condividere con te questa canzone te la metterei nella sezione Visto Letto Sentito, giusto? Allora perché sta qua?
Sta qua perché per me quest’uscita significa qualcosa: un po’ di adolescenza che riaffiora e un po’ di quell’inizio dell’età adulta che si consuma. E arriva in un momento di scarsa lucidità che non so se è stanchezza o un accenno di vecchiaia. Un momento in cui, tra l’altro, non mi sento a mio agio per una serie di cose che devo fare e che non sono sicura di saper fare. Con un rischio altissimo di ritrovarmi senza nulla da dire, in imbarazzo, alla berlina.
E se era previsto che ascoltare questa canzone mi avrebbe suscitato familiarità, malinconia, tenerezza, paura di invecchiare, quello che non avevo previsto è uno specifico solletico, una tentazione. La voglia di ricominciare a trarre piacere dai momenti di disagio.
Perché sebbene io sia stata follemente innamorata di Brian Molko per almeno un decennio, e sebbene le sue canzoni abbiano influenzato nella mia vita eventi, amicizie e disastri, la cosa a cui penso sempre con maggiore trasporto quando penso ai Placebo è la più bella scena televisiva di sempre.
Quella situazione surreale che si è creata a Sanremo quando hanno un po’ sbroccato, creando imbarazzo e prendendosi fischi e un bel coro di “scemo, scemo”.
No, dai, non è la performance in sé né l’aver sfondato la chitarra sull’amplificatore che mi aveva entusiasmato all’epoca e che tuttora mi regala gioia.
Il vero regalo di quel giorno, regalo che ancora mi tengo stretto, arriva quando loro escono di scena.
Il vero regalo è “La Liguria è bellissima”.
Megan Gale che ha perso da quel momento, e per sempre, qualsiasi contorno, qualsiasi connotazione, qualsiasi contesto. E per me è diventata questa frase. E questa frase è diventata un mantra.
Tutto sta andando a rotoli. La Liguria è bellissima.
Sono inseguita dalle fiamme. La Liguria è bellissima.
Sto invecchiando. La Liguria è bellissima.
Non so cosa dire. La Liguria è bellissima.
Visto letto sentito 🙈🙉🙊
Booksmart
Mentre mi scervellavo sulla newsletter, e cercavo di digerire emotivamente il nuovo singolo dei Placebo, su whatsapp si è affacciato Antonio. Non farti di nuovo dire chi è Antonio, su. Te ne ho parlato cento volte e, per quanto mi faccia sempre piacere metterlo in mezzo, comincio ad avere paura di una diffida.
Ad ogni modo, Antonio mi scrive e mi suggerisce un film. E io questo film non solo l’ho già visto ma è anche un mio film del cuore.
E quindi eccomi di nuovo in una catena di associazioni: io non ho niente da dire e qualcuno mi suggerisce qualcosa e quel qualcosa io già l’ho visto ed è anche un mio film del cuore e oggi arrivano tutte cose a cui sono legata e le cose a cui sono legata un po’ mi confondono.
Sì, ti devo parlare per forza di Booksmart, un teen movie liberatorio fin dall’inizio, dove non è la rivalsa finale a darti sollievo ma una prospettiva diversa, più leggera e senza cliché che da un teen movie non ti aspetti.
È la storia di due amiche adolescenti che, se volessimo affidarci alla traduzione del titolo in italiano (La rivincita delle sfigate) dovremmo definire sfigate, ma che in realtà non lo sono per niente.
Qui, ha ragione Antonio, ci starebbe bene una mega polemica sulle traduzioni di merda dei titoli dei film, ma già fatico a tenere il filo, già si stanno spaginando tutte le rubriche, già mi sto incastrando di nuovo in uno sproloquio a caso.
Dicevo, è la storia di due amiche brillanti e ambiziose, che studiano e si concentrano spasmodicamente sulla costruzione del loro futuro ma che l’ultimo giorno di scuola si accorgono di aver rinunciato inutilmente al divertimento, e cercano quindi di recuperare tutto il tempo perso in una sola notte.
Come al solito, quando ti racconto la trama di un film sembra sempre una roba da poco. Invece no, davvero, è tanto bello e fa tanto ridere.
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Immagino tu abbia completamente perso il filo a questo punto. È tutto confuso, e se pensi che io non ne sia consapevole sbagli di grosso. Me ne rendo conto e sto qui a disagio, ma assieme al disagio provo ancora quel solletico, quella voglia di mettermi in questa posizione scomoda, un brividino piacevole, ecco.
E questa sensazione mi stupisce fino a un certo punto perché se il cringe ci piace così tanto, non è del tutto assurdo che ci stuzzichi anche l’idea di essere noi a provocarlo, credo. No?
Ma poi l’imbarazzo è davvero così male?
È sicuramente una fonte inesauribile di aneddoti e ha alla base dei meccanismi del tutto naturali, come la paura di non essere accettati socialmente. È una sensazione normale, sana, da accogliere quindi.
E va anche ascoltata perché quel disagio che proviamo in qualche modo ci sta guidando, suggerendoci il giusto comportamento da tenere. Perché funge più o meno da promemoria. Una specie di schiaffetto correttivo che ti ricorda “oggi non farlo perché l’ultima volta ti volevi sotterrare dalla vergogna”.
E per chi come me presta (forse) troppa attenzione alle interazioni sociali, all’etichetta, all’immagine di sé che trasmette - e che quindi vive nella paura di provare imbarazzo, come se fosse una minaccia costante - è una tentazione fortissima quella di mollare la presa e farsi del male.
E scopro anche che in realtà non ci si fa veramente male.
Perché incredibilmente può essere un modo per farsi accettare dagli altri più facilmente. Sembra infatti che le persone siano più inclini a collaborare con te se ti vedono a disagio.
Non lo so, vediamo, tu questa newsletter oggi l’hai letta con più o meno piacere del solito?
Saluti
Questa newsletter è una mia velleità che oggi doveva restare nel mio computer e non vedere la luce del sole. Però è così, ti ho scritto lo stesso, presa un po’ dalla confusione e un po’ dalla voglia di imbarazzo.
Puoi espormi al pubblico ludibrio diffondendo questo post.