È da una settimana che ho voglia di affetto.
Sì, certo, c’è Marito. Però sono giorni che mi manca l’affetto dei miei amici. Mi manca abbracciarli. Sai che novità, mi dirai, eccola che mi parla della distanza e di questa pandemia che ci allontana. E invece no, non ti parlo dell’ovvio. E non ti parlo della giornata mondiale degli abbracci che ho scoperto in un secondo momento o che, se vuoi proprio saperlo, credo di aver creato io.
Non fare quella faccia, il mio subconscio è serenamente in grado di creare giornate mondiali di qualcosa, ha fatto anche di peggio. Ti vedo diffidente oggi, che succede?
Seguimi piuttosto. Ti dicevo, ho tanta voglia di abbracciare i miei amici. Uno in particolare, il più cattivo di tutti. Sì, sto parlando di te, Fra. E ho pensato che un buon modo per superare questa voglia di abbracci fosse dichiararla apertamente. Dire “mi manchi, mi manca abbracciarti”. Bene, è successo un casino. Non è successo un vero casino, scusa, è successo un casino nella mia testa. Perché quell’amico orrendo a cui l’ho detto (sempre tu, Fra, beccati ‘sto dissing) prima mi ha dato della matta, poi mi ha spiegato con gentilezza che non posso inventarmi carenza di interazioni affettuose considerata la mia solida reputazione da persona algida e distaccata.
Ho cercato (e trovato il peggior) supporto in un altro amico orrendo - sei tu Edo, ciao! - e anche lui mi ha spiegato che non posso scoprirmi affettuosa dalla sera alla mattina e pensare di avere tutti allineati così senza preavviso.
Qual è il punto? Che io sono convinta di essere una persona affettuosa. Ci credi? Ne sono proprio certa, al 100%, e invece all’improvviso no, scopro di essere una persona che non manifesta affetto. Adesso mi dirai che hanno ragione loro e che nessuno ha un giudizio di sé autentico e onesto. Sì, e infatti parliamo di questo, però ti giuro che i miei amici sono orrendi, quindi non ti fidare fino in fondo neanche di loro.
Il consiglio prezioso
Ju-on: Trova uno spazio su internet dove attaccare i tuoi amici senza possibilità di replica.
Riflettevo
Quindi a quanto pare non mi conosco. O meglio non ho idea di come mi vedano gli altri. Considera che trascorro molto del mio tempo ad analizzare cosa sento, come sono e come mi comporto. Lo sai, ne parlo con te ogni settimana. Ma non si esaurisce qui, giuro, ci investo tante altre energie. A quanto pare spese malissimo perché quella self-awareness, di cui si sente parlare in ogni angolo di internet e di cui ero convinta di poter fare sfoggio, è crollata per la voglia di un abbraccio.
Ma che è ‘sta self-awareness?
Sembra si debba innanzitutto distinguere tra internal self-awareness ed external self-awareness. La prima rappresenta quanto chiaramente vediamo i nostri valori, le nostre passioni, le nostre reazioni, i nostri punti di forza e debolezza, i nostri sentimenti e il nostro impatto sugli altri. La seconda categoria si riferisce invece a come gli altri ci vedono, rispetto agli stessi fattori.
Chi ha una forte consapevolezza di sé interna dovrebbe ottenere una buona soddisfazione sociale e lavorativa, dovrebbe avere una sensazione di controllo ed essere più felice. Chi è più forte nella consapevolezza esterna dovrebbe invece essere più abile a mostrare empatia e assumere il punto di vista altrui.
Viene da pensare che le due capacità siano direttamente correlate e invece no, sono distinte e separate. E infatti, dalla combinazione delle due variabili, escono fuori 4 archetipi di leadership – sì, l’articolo è della Harvard Business Review quindi alla fine viene sempre ricondotto tutto al lavoro e alla leadership.
Per capire come ti collochi nella matrice puoi fare questo quiz insieme a qualcuno che ti conosce bene. Con i risultati (per me deludenti, ma a questo punto me l’aspettavo) ti arrivano anche dei suggerimenti per lavorare su te stesso.
E sai perché puoi effettivamente lavorarci su? Perché secondo la teoria della self-awareness noi non siamo i nostri pensieri, bensì l’entità che li osserva. Io penso e quindi creo i pensieri ma non mi esaurisco in loro. Così, quando ci auto-valutiamo possiamo analizzare pensieri, sensazioni e comportamenti, e giudicarli in base a nostri determinati standard valoriali. In questo modo stabiliamo comunemente se stiamo prendendo le giuste decisioni per raggiungere determinati obiettivi. Se c’è discrepanza tra quello che pensiamo/proviamo/facciamo e i nostri standard abbiamo due scelte: sbattercene oppure lavorare su noi stessi per ridurre quella discrepanza. La decisione dipende dalle possibilità di successo e dallo sforzo che questo impegno ci richiederà. Ciò significa che maggiore è la discrepanza tra il nostro comportamento e i nostri standard e meno probabile è che ci lavoreremo su.
Tutto sta nel riconoscere il proprio limite. Del resto Socrate, il king della self-awareness, insistendo sul “Conosci te stesso”, invitava l’essere umano a considerare i propri limiti prima di affacciarsi sulla via della virtù. Il primo passo è prendere coscienza delle proprie crepe, delle proprie debolezze.
E conoscersi così a fondo è davvero un vantaggio? Non è che poi ti incastri in un “sono fatto così, non posso farci niente”? Non è che ti incaselli in un’immagine che hai di te e ti scordi di cambiare, evolvere, stupirti?
“Un bruco che cerca di conoscere se stesso non diventerà mai una farfalla.”
[André Gide, Pagine d’autunno (1950)]
Visto letto sentito 🙈🙉🙊
I May Destroy You
Ho visto la serie più bella degli ultimi anni. Davvero.
Una serie così bella che mi è difficile parlarne. Anche perché c’è tanto dentro, e tutto quello che c’è dentro è complesso, pieno di sfumature, di giudizi difficili. Anzi, ti punisce tutte le volte che giudichi qualcosa o qualcuno, perché c’è sempre qualcos’altro che non hai considerato.
È una serie moderna nell’estetica e nei temi che tratta. È moderna nella difficoltà di prendere una posizione e capire i punti di vista. Ti stimola all’empatia, ti spinge a riflettere, a parlare, a confrontarti con l’altro. E se l’altro non c’è, provi a essere tu l’altro, ancora meglio.
È ambientata a Londra ma molte scene, tra cui quella iniziale, si svolgono a Ostia. Un’Ostia diversa da quella che siamo abituati a vedere, un’Ostia vista da lontano, da chi non sa.
E il non sapere è al centro di tutta la serie. La protagonista non sa di essere stata stuprata, non sa chi l’ha stuprata, non sa di chi sono le responsabilità, non sa se riuscirà a concludere il suo libro e non sa come reagire a tutto quello che le sta succedendo e che sta succedendo al mondo (il suo mondo e il mondo in generale).
Guardala, è importante.
Pinkabbestia
Solo qualcosa di rosa
Du spicci
Ancora qualcosa di rosa?
Zara - € 29,95
Guilty Pleasure
Ricordati che qua tutto è iniziato perché avevo voglia di un abbraccio eh.
Ed è normale che avessi questa voglia perché il contatto fisico riduce la sensazione di solitudine (e in questo momento ci sentiamo tutti un po’ più soli, lo so, scusa, dovevo dirlo, dai). Del resto il tatto è il primo senso che sviluppiamo e la pelle è l’organo più esteso. È per questo che dal contatto fisico possono scaturire le sensazioni più diverse: rabbia, paura, desiderio, disgusto, tenerezza, calore.
E il fatto di voler un abbraccio proprio da un amico credo avesse un significato preciso. Volevo qualcosa di evidentemente platonico. Ora il punto è questo: quando ho chiesto a Marito se mi considera una persona affettuosa, lui mi ha detto di sì. E poi ha aggiunto “con me sì”. Quindi con gli altri no? Non sono affettuosa con i miei amici?
E così, ragionando su questo, ho realizzato quanto ci sia di erotico nell’amicizia. E siccome erotico non vuol dire sessuale, questa forma di amore porta con sé una serie di pudori in più. Abbiamo voglia di vedere gli amici e di trascorrere tempo insieme, abbiamo bisogno di condividere esperienze e ricordi. Questi piccoli stronzi ci completano, ci infondono senso di appartenenza. Ma forse allora con gli amici barattiamo il contatto fisico per altre gratificazioni.
Tipo sentirci dire la cruda verità in faccia o (dall’altro lato) subire un dissing nella newsletter che ogni settimana siamo costretti a leggere.
Del resto più si è vicini e più ci si fa male a vicenda. È il dilemma del porcospino di Schopenhauer
[…] il bisogno di società, che scaturisce dal vuoto e dalla monotonia della propria interiorità, spinge gli uomini l'uno verso l'altro; le loro molteplici repellenti qualità e i loro difetti insopportabili, però, li respingono di nuovo l'uno lontano dall'altro. La distanza media, che essi riescono finalmente a trovare e grazie alla quale è possibile una coesistenza, si trova nella cortesia e nelle buone maniere.
Io comunque questo abbraccio lo voglio. Appena passa tutto vi aspetta una tempesta di effusioni, mani in faccia dalla mattina alla sera, abbracci interminabili che vi metteranno a disagio. Bacini. Tantissimi bacini.
Saluti
Questa newsletter è una velleità, utile anche per un regolamento di conti. Se vuoi puoi inviarla a un amico che non ti capisce o che non ti abbraccia mai volentieri. Anaffettivi di tutto il mondo, c’è spazio anche per voi.