A me un sacco di cose. Cioè, così di getto, mi sento di risponderti “un sacco di cose”. Ma se ci ragiono, e provo a elencare tutte queste cose che in teoria mi mancano, un po’ mi sale l’ansia e un po’ vado in confusione, perché mi sembrano troppe e alcune sono pure in contraddizione tra loro, e allora non riesco a metterle a fuoco con chiarezza, non riesco a visualizzarle, e a un certo punto non so più neanche se mancano davvero.
Che poi, mi dico, se non ho mai un attimo libero, se non riesco a stare dietro neanche a quello che ho, perché mi preoccupo di quello che non ho? Perché voglio cose in più? Sì, in parte perché quello che non ho potrebbe aiutarmi a vivere meglio, potrebbe rendere la mia vita più funzionale o più facile.
Però c’è anche tutto un altro universo di carenze che non so quanto davvero rappresentino un’esigenza, e sono quelle cose che vorrei ma che in realtà non voglio, quelle cose che penso di dover volere.
Ti faccio un esempio: è un periodo che esco poco, vedo poco gli amici, ho una vita sociale inesistente. E mi dico che dovrei uscire di più, vedere più amici, avere una vita sociale più ricca.
Sono cose che mi mancano, è un vuoto da colmare. Ma com’è possibile che io avverta questo vuoto se in realtà sento fortissima l’esigenza di stare a casa e non vedere quasi nessuno?
E se anche trovassi un accordo diplomatico tra queste due istanze in conflitto, chi gestirebbe la sicura rivolta della frangia salutista che insiste a dirmi che, prima di sistemare qualsiasi altra cosa, devo ritagliarmi del tempo per fare sport, perché devo recuperare agilità, perché la vita sedentaria uccide, perché fa bene all’umore?
E quindi è il tempo che manca? Ma no, alla fine il tempo si trova sempre. E allora si vede che a mancare sono le energie e la forza di volontà. Bene, allora mi do addosso e mi dico che dovrei tirarmi su e colmare questo buco nella mia forza di volontà. Ma non mi ero prefissata qualche mese fa di essere più gentile con me stessa, di perdonare i miei difetti e di guardarmi con maggiore comprensione? Non mi ero detta che dovevo assolutamente rimediare alla mia carenza di self-compassion? Non stava lì il buco?
Il consiglio prezioso
Down the rabbit hole: Prima di sigillare tutto non ti sembra il caso di dare almeno una sbirciatina?
Riflettevo
Ma poi che funzione hanno tutti questi buchi? Ed è davvero sempre necessario colmarli?
Negli ultimi anni sembra che non stiamo facendo altro. Cerchiamo costantemente di compensare quello di cui ci priviamo o di cui ci siamo sentiti privati.
Il punto è che, mentre lo facciamo, mentre cerchiamo di colmare una mancanza, spesso incappiamo in tutt’altro.
Non è cha la fissazione per la cucina in lockdown abbia sopperito a tutto quello che non potevamo più fare. Semplicemente, per alcuni, ha alleviato un po’ il dolore. E così anche tutte quelle performance online, o in diretta da arene vuote, non sono riuscite a soddisfare il bisogno di assistere di persona a uno spettacolo, ma ci hanno concesso comunque un’esperienza affascinante, alle volte surreale, una speranza o un assaggio di qualcosa di diverso.
Anche questa newsletter, che si proponeva di riempire un vuoto, alla fine non è riuscita a farlo ed è andata per fatti suoi. Tant’è che è ancora qui e a sua volta sta creando altri buchi da colmare, dubbi, nuove necessità e ogni tanto anche frustrazioni.
Occhio che la pandemia in sé non c’entra nulla con questa faccenda. La propensione a colmare i vuoti con qualcosa di incongruo c’è sempre stata.
Tiè, ti ho trovato un articolo che nel 2017 parlava della tendenza dei millennial a ingolfare le case di piante, come antidoto al proprio vuoto esistenziale. E pare che questa tendenza non sia neanche caratteristica di una generazione nello specifico, essendo in realtà un fenomeno ciclico, già verificatosi subito dopo la rivoluzione industriale e poi anche negli anni ‘70.
Insomma, quello che voglio dire è che, per nostra natura, di fronte a una sensazione di vuoto, adottiamo spesso misure non coerenti con l’obiettivo, che quindi non risolvono nulla e alle volte aprono addirittura altri squarci.
E questo secondo me non è un problema ma un miracolo.
Perché comincio a pensare che il vuoto faccia bene a rivendicare la propria esistenza e a ostacolarci nel nostro tentativo di eliminarlo. E che la sua funzione sia proprio quella di dirci in faccia che lui, lì dov’è, ci deve stare per forza, perché è strutturale, portante, e se proviamo a rimuoverlo c’è il rischio che crolli tutto. Che anche se ci fa un po’ male, rappresenta pur sempre una possibilità, una fuga plausibile, una via che ne apre altre mille eventuali.
Sì, i vuoti servono tantissimo e per questo hanno un loro ruolo fondamentale anche nell’arte. Perché dai vuoti spesso passa la luce e alle volte anche il colore, come succede con gli stencil o nella tecnica dello spolvero. E forse rappresentano proprio questo i nostri vuoti, delle sagome sulla base delle quali possiamo anche definirci e tracciare chi siamo.
E allora in qualche modo è una fortuna che non si riesca mai a riempirli questi buchi, che restino vuoti e che ci consentano di creare qualcosa di bello da un’altra parte, su un altro piano, mentre noi ci affanniamo inconsapevoli.
Visto letto sentito 🙈🙉🙊
The worst person in the World
Di questo film ti parlo per due ragioni.
La prima è che è meraviglioso e se non lo vedi commetti quello che, ti avverto, passerà alla storia come il tuo grande errore del 2022.
La seconda ragione è che in qualche modo parla un po’ di vuoto, della difficoltà di colmare questo vuoto, dell’affanno che la protagonista prova nel cercare una definizione di sé. E quindi oggi qui ci sta proprio bene.
È la storia di una trentenne alla ricerca del proprio centro e del proprio posto nel mondo, un coming of age che sembra arrivare in ritardo rispetto alla norma, ma che in realtà rispecchia fedelmente quella nebbia che attraversiamo nella definizione dell’età adulta, quella sensazione perenne di crescita che ha soppiantato ormai l’eventualità di invecchiare.
Ho guardato alla protagonista come a un’anti-Amelie Poulain (che troppi danni aveva fatto alla mia generazione) per la concretezza e la misura della sua inquietudine, per il giusto tormento e per il coraggio di vivere la contemporaneità senza la presunzione di cavalcarla in solitaria.
Il film è quasi un’ode alle contraddizioni e alle distanze. Quella tra sessi, quella generazionale e quella tra sé e l’immagine di sé che ci si cerca di costruire per vedersi riconosciuta una propria identità.
Il genere è quello della commedia drammatica (quanto vorrei poter usare il termine dramedy senza sentirmi una stronza), per cui si ride e ci si commuove. Ci sono dei momenti però in cui ci si dispera anche, e secondo me succede per la totale assenza di cliché a cui aggrapparsi. Più che il dramma è il dilemma senza conforto a farti male, a toglierti qualcosa, forse un sostegno o semplicemente un filtro.
Pinkabbestia
Solo qualcosa di rosa
Du spicci
Sì, di solito in questo periodo dell’anno comincio a romperti i coglioni con le camicie.
Zara - € 19,95
Saluti
Questa newsletter è una mia velleità che sta cercando di accettare il vuoto e addirittura vorrebbe celebrarlo. Falle un dispetto soffocandola di commenti e condivisioni sui social.
E pensa che i vuoti li avverti anche a settanta e passa, un’adolescenza maledettamente strutturale…
Che bello il trailer del film 💚