Ho detto di no a una suora. Gliel’ho detto alzando la voce, no, mi spiace, non è proprio possibile. Ero dal medico, dopo due giorni con febbre altissima, senza covid ma con sintomi da film horror, 48 ore in cui sono stata ininterrottamente a letto, nutrendomi di niente e alternando film e programmi di dubbio spessore a qualche piantarello patetico. Mercoledì la febbre si era abbassata, avevo ricevuto un altro tampone negativo ed ero andata dal medico.
Il consiglio prezioso
Deep focus: Pensa bene a cosa chiedere, a cosa rispondere, a cosa volere.
Riflettevo
Mentre ero in fila una signora con 27 buste della spesa mi aveva già chiesto se poteva passarmi avanti visto che lei doveva solo ritirare un’impegnativa. L’avevo fatta passare.
Poi, arrivato il mio turno, mentre stavo spiegando che non volevo alcun certificato bensì una vera visita del dottore, una signora anziana mi aveva di nuovo messo all’angolo con un semplicissimo scusi eh devo chiedere solo un’informazione. Dopo di lei però ero finalmente riuscita a sedermi, in attesa di farmi ricevere dal medico.
A quel punto arriva la suora, che ha bisogno di approfondire col medico non so quale punto di una lista che ha in mano. Si siede anche lei e mi chiede, visto che io devo fare una visita, se può andare prima lei, tanto deve solo chiedere un chiarimento. Io le rispondo che sto male, per questo devo fare una visita, quindi preferirei non cederle il posto. Mi sorride e mi dice che, appunto, se sto così male magari la visita durerà pure tanto, lei deve solo chiedere una cosa.
Riesco a dirle di no. Le ripeto che non mi reggo in piedi, che è assurdo chiedermelo, alzo la voce e attiro così anche l’attenzione del medico che apre finalmente la porta e mi riceve. Prima però mi si avvicina un’altra suora per dirmi che quella con cui sto baccagliando è la superiora.
Insomma, in uno studio medico ho ricevuto una sorta di lei non sa chi sono io da una gang di suore che mi volevano superare perché io stavo male.
Ti sembrerà un aneddoto un po’ povero il mio, e invece per me è stato illuminante. Considera che io fino a mercoledì pensavo che un ottimo modo per farti cedere il posto fosse dire che tu stai male. Perché chiedere di passare avanti a qualcuno sulla base del fatto che quel qualcuno sta male è una carta che non mi sarei mai giocata e che non pensavo si potesse usare. Eppure tre persone su tre l’hanno fatto con me.
E adesso ti aspetterai un bell’approfondimento su quanto sia importante saper dire di no. Ecco, no, non c’è nessun approfondimento su questo tema. Non c’è perché non posso essere sempre io quella da aggiustare. Il focus qui non è sulla mia assertività ma sull’assenza di empatia di chi per una generica fretta vuole sbattersene delle esigenze del prossimo. Ecco, non importa se dico sì o no, è la richiesta a essere folle secondo me.
Ma che succede quando vogliamo una cosa? Succede che quella cosa diventa la più importante di tutte, supera tutte le altre cose che vogliono gli altri e, non c’è misura o scala di valori che tenga, la buttiamo lì in mezzo a tutte le cose di tutte le persone del mondo, sperando che in una sorta di combattimento tra galli la nostra abbia la meglio.
Anche quando la nostra è obiettivamente meno importante, meno urgente. E alle volte non è solo meno importante delle cose degli altri ma è persino meno importante delle nostre altre cose, delle nostre altre esigenze, che ignoriamo perché siamo concentrati sulla lotta sbagliata.
E mentre pensavo a questa specie di miopia valoriale mi è venuta in mente la Gioconda. Piccola, protetta da una teca, che prende da decenni torte in faccia, rasoiate, sassi, barattoli di vernice, tazze da tè, anche se lei, poverina, non c’entra quasi mai niente con il motivo della dimostrazione. Nessuno tira qualcosa addosso alla Gioconda perché ce l’ha con la Gioconda. E però vai ad aggredire un capolavoro per un’istanza che è tua, più o meno valida, ma che comporta (comporterebbe, perché tanto c’è la teca) un danno a una delle opere più importanti al mondo.
E anche quando ci lamentiamo perché è italiana e non è giusto che sia al Louvre, pure quella è miopia, pure quella è non capirci un cazzo. Perché è stato Leonardo stesso che l’ha portata in Francia e che l’ha venduta lì. E la cosa buffa è che proprio a un passo dalla Gioconda, nella stessa stanza, ci sono le Nozze di Cana, una tela enorme, non solo rispetto alla Gioconda ma proprio enorme in valore assoluto, e che, quella sì, è stata tagliata in due e rubata all’Italia. Ma noi non ce la filiamo. È enorme eh, è lì davanti, doveva essere nostra e ce l’hanno rubata ma che ci frega, ridateci la Gioconda.
E quante cose così grandi, così evidenti, mettiamo da parte per le nostre piccole Gioconde irragionevoli?
Anche io che ti sto scrivendo della febbre e della suora, quando nel frattempo sono guarita e potrò finalmente andare al mare, non mi sto concentrando affatto sulla cosa importante. Allora, oltre a imparare a dire di no agli altri, qualche no dovrei dirmelo anche da sola. Dovrei dirmi di non pensare alle rogne di fronte alla bella giornata che mi aspetta.
E ricordarmi piuttosto di celebrare questo spazio, la newsletter, in cui posso ospitare chi di no non riesce proprio a dirmene, come Franco, a cui ho chiesto il Guilty Pleasure che leggi qui sotto e che lui ha scritto solo perché non poteva fare altrimenti. Il risultato però mi dimostra che ne è valsa la pena. Che ci sono dei casi in cui bisogna comunque chiedere, anche forzando un po’ la mano, perché non stai calpestando nessuno, gli stai solo chiedendo di esporsi nella tua teca.
Guilty Pleasure with Guests
In questa rubrica un amico o un’amica della newsletter mi racconta il suo guilty pleasure. Questa settimana il Guilty Pleasure è di Franco Vittori.
Franco è nella mia vita da più di 20 anni. E ogni volta che lo dico inspiegabilmente mi sento più giovane. Insieme siamo stati ballerini, groupie, clubber, tesisti. Ora proviamo a resistere impersonando, a seconda del momento, il ruolo di anziani o bambini. Con lui ho attraversato ogni straccio di stargate che una serata banale può aprire, e che può condurti a passeggio con un ladro di biciclette, nello scantinato di un pittore con chiaro aspetto da serial killer, in un bagno chimico con la cantante del cuore, alle selezioni di un master sconosciuto. Al risveglio poi Franco ha sempre la grande dote di apprezzare un cielo terso. Franco è un copywriter e in generale, anche nella vita, un genio.
Questo è il suo guilty pleasure.
Giorni fa mi accorgo di aver terminato i loop che uso per costringermi in uno stato depressivo costante. Accendo la tv, un po’ di zapping e mi convinco di averne trovato uno nuovo e potentissimo. La Ghigliottina. Sì, quella Ghigliottina, de L’eredità, Rai 1, ore 18:50 dal 2002. 20 anni di fallimento personale. Lo guardo in trance, pieno di disgusto, senza capire niente, senza mai azzeccare la parola. Provo un senso di vergogna assoluto, mi sento in colpa. Questa volta il montepremi è di 90.000 €. Inizio a elucubrare. Ma se non riesco, da casa, senza la tensione della diretta, a riuscire in un gioco così semplice, come posso pensare di avere successo nella vita? Sono una persona mediocre, approssimativamente scolarizzata che dovrebbe trovarsi un impiego alla sua portata, votare un partito populista, abbandonare ogni “velleità”. Come sempre la risoluzione è fare le valigie di corsa, lasciare Roma e trasferirmi in un luogo isolato, interrompendo definitivamente i contatti con l’esterno. Mi vergogno. Penso, ora chiamo Maria e le racconto questa epifania, magari mi aiuta a impacchettare, quando spunta fuori la prima parola. Fondo, poi Rock, Passo, Fuoco e, infine, Rilascio. Ecco ci risiamo, perché faccio così schifo? Mi do un po’ di tempo e d’un tratto sento gli angeli cantare. È Lento. Dai porca miseria è Lento, facilissimo. La concorrente mi guarda dritto negli occhi con sfida e svela la risposta: Basso. Come me. E invece no, è lento. Tiè. Mi sento alto 2 metri. Volo, il mondo è mio. Poi, il loop.
Pinkabbestia
Solo qualcosa di rosa
Du spicci
E vai di palandrane.
Dixie - € 89
Saluti
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