Da circa 22 anni, ogni volta che inizia maggio e quindi il caldo, mentre cammino per le strade un po’ ostili di Roma, sono assalita da un pensiero ossessivo. Un pensiero che, grazie alla mascherina o agli auricolari con cui spesso fingo di parlare al telefono, si è potuto trasformare di recente in un mantra pronunciato a bassa voce: questa non è casa mia, questa non è casa mia, questa non è casa mia.
E questo ritornello nevrotico sintetizza tutta una serie di riflessioni che è complicato elaborare lì per strada ma che poi, tornata a casa, sono costretta ad affrontare.
Il consiglio prezioso
Escape Room: Apri la porta, per entrare, per uscire o anche solo per sbirciare.
Riflettevo
Non che l’elaborazione mi porti chissà quanto lontano rispetto alla cantilena. Le domande diventano solo un po’ più articolate, ma restano domande: Perché qui nessuno sente la necessità di andare al mare? E perché ho scelto una città senza mare? Questo ritmo è il mio o lo sto solo subendo? Chi me la fa fare? Vivrò qui per sempre?
E non è con Roma che posso prendermela per questa sensazione di spaesamento e insofferenza in cui periodicamente sguazzo. Roma è la città in cui vivo e vivo bene, e dove ho trovato e continuo a trovare i legami che sono la mia principale fonte di gioia.
Ma nonostante questi legami e nonostante queste gioie, mi capita di sentirmi fluttuante e precaria. Sì, il più delle volte all’inizio dell’estate. Perché all’inizio dell’estate Roma mi diventa un po’ estranea e io lo divento per lei.
E mi dico che forse è perché, nei primi anni in cui ho iniziato a vivere qui, il caldo lo associavo allo stress delle ultime sessioni d’esame e all’attesa di una vacanza che all’epoca rappresentava un ritorno a casa. Poi però, col tempo, quel ritorno a casa ha perso colore ed è diventato principalmente una visita alla mia famiglia e un tuffo nei ricordi. E quindi anche quella che prima era casa ha smesso di esserlo davvero e io ho iniziato ad avvertire un senso di precarietà anche lì, sempre d’estate, in quella che non è più casa mia.
Ma, siccome io dal mio cervello mi faccio ingannare con grande piacere ma poi glielo faccio anche pesare, eccomi qui a metterlo sotto pressione e chiedergli con insistenza dov’è casa. Ora, lui lo sa benissimo che dovrei aver abbandonato lo status di fuori sede da molto tempo, e per questo motivo non ci prova neanche a far traballare una residenza conquistata lottando a mani nude contro la burocrazia. Così, messo alle strette, crolla e confessa, e mi dice che casa è qui, dove sono, e sarà sempre dove sarò io, e che sia io che lui, in questo momento come ogni estate, stiamo cercando l’opposto di casa, stiamo cercando un’evasione.
Perché casa e la vita in certi periodi ti si restringono addosso e ti soffocano un po’. E, per quanto possano essere rassicuranti e comode, sono un nido fatto anche dello stress che ti costruisci attorno. Per cui ci sta che in questo momento io brami il colore del mare e una qualsiasi fuga adolescenziale, e che abbia (me ne rendo conto adesso) di recente risposto a entrambe queste necessità con uno smalto che avrei potuto leggere come un indizio fin da subito.
E tutto sommato credo sia stata una reazione adeguata. Un diversivo che non fa danni ma che riesce nel proposito di distrarmi e farmi sorridere. E che potrebbe diventare anche un promemoria su come gestire con misura i momenti in cui mi sento un po’ disorientata. Perché se la mia interpretazione è vera, se questo lieve fastidio è più un bisogno di allontanarmi che una vera ricerca di radici, allora è giusto incalzarmi con gentilezza, darmi una spintarella, cambiare qualcosa di minuscolo che catturi la mia attenzione e mi costringa a guardare immagini un po’ diverse.
Perché per quanto sia super in voga crogiolarsi in una versione idealizzata della quotidianità, godersi le piccole cose, ritualizzare i gesti e le abitudini più comuni, e rendere così la normalità stessa un’evasione, io ho paura che anche questa prassi possa creare assuefazione e diventare un ulteriore recinto che man mano si restringe e ti soffoca.
Certo, apprezzare tutto quello che diamo per scontato sarebbe anche d’obbligo in un momento come questo, in cui abbiamo sempre lo sguardo fisso sull’orrore. Però celebrarla questa normalità mi fa l’effetto opposto, mi sa quasi di ingiustizia, mi sembra sconveniente, ecco.
E allora sì, mi sembra più naturale un allontanamento, da tutto quello che dovrei fare ed essere secondo la buona etichetta della mia età. Così mi ritrovo a oscillare tra due tendenze, anch’esse in voga ma secondo me più opportune, ragionevoli e più vicine al mio bisogno di evasione. La prima la incarno benissimo e consiste nel trascorrere giorni a casa in goblin mode, trascinandomi da una stanza all’altra senza neanche fare lo sforzo di vestirmi. L’altra invece, che è il ritorno del modello party girl, l’affronterei con molto più entusiasmo se il mio fisico si degnasse di collaborare, ma vorrei comunque provare a cavalcarla, cercando di non mollare il colpo e regalandomi qualche serata brava che non vivo da un po’.
In ogni caso mi capisco benissimo, se dopo anni che sono stati un manifesto alla skincare, allo yoga, al cibo bio, alla meditazione, al salutismo sfrenato, ora ho proprio voglia di tornare alle cose sbagliate, un po’ storte, un po’ lontane.
E mi preoccupo poco della distanza anagrafica che in teoria dovrebbe separarmi da questi riferimenti. Il fatto che io abbia 40 anni, e quindi almeno 20 in più rispetto alla generazione che li vive e propaga, alla generazione di Euphoria per intenderci, non mi crea alcun disagio. Sono gli stessi riferimenti che ho vissuto quando era il momento, anche se all’epoca mi sembravano, e forse erano, privi del peso esistenziale che invece avverto adesso. O forse ero io che mi facevo meno domande, può anche darsi.
Di sicuro quell’età, che incarna perfettamente la voglia di scappare, mi sembra un ottimo rifugio adesso, se casa per una volta non è la chiave, non è la risposta, non è il luogo e il tempo in cui mi riconosco.
Visto letto sentito 🙈🙉🙊
A Chiara
Io non so se questo film mi è piaciuto perché è ambientato in un mondo a cui sono legata, se mi è piaciuto perché parla di un’età che comincia a diventare più prepotente nei ricordi, o se mi è piaciuto perché affronta il conflitto, insito nel senso di appartenenza, che un po’ mi ha sempre attanagliato. Non lo so davvero.
Se non avesse avuto successo di critica forse non me la sarei sentita di suggerirtelo qui, perché ho imparato quanto è difficile trasmettere il senso di una terra che paga lo scotto di essere sempre guardata da lontano, con una distanza imposta dal giudizio, da un atteggiamento prevenuto, beffardo e spesso sul crinale del razzismo.
Però oggi voglio illudermi che la storia di una ragazza che cerca di emanciparsi, a rischio di perdersi, possa essere considerata universale anche se è ambientata in Calabria, quella regione che in pochi capiscono e ancor meno apprezzano. Quella regione che spesso ferisce gli occhi anche di chi ci vive, ma che, se raccontata come in questo film, non si riduce al folklore alieno con cui solitamente la si identifica. Perché quel folklore, quelle tradizioni e quel linguaggio tanto bistrattato si portano dietro un peso tremendo e sublime, che in pochi hanno il coraggio di scoprire ma che esiste e resiste nonostante la distanza.
Pinkabbestia
Solo qualcosa di rosa - Trittico dal Pigneto
Du spicci
Rihanna insegnami la vita.
Savage X Fenty - € 27,55
Saluti
Questa newsletter è una velleità che sposta lo sguardo e si sposta nel tempo ma resta sempre qui a raccontartelo. Tu resta con lei e diffondila in giro, suggerendola a chi ha voglia di evadere.