È finita?
Questa newsletter è una mia velleità e oggi le velleità mi sembrano più significative del solito.
Questa settimana è stata piuttosto pesante. Anche questa? No no, questa di più.
Sono stata aggredita dalle cose da fare, che mi grandinano ormai addosso col solo scopo di scheggiarmi il cranio. Ma vabbè, fin qui ci si organizza.
Ho avuto poi degli antagonisti interessanti e una grande nemesi, il commesso di un negozio di telefonia, che è riuscito a portarmi al traguardo mai raggiunto dello scontro urlato con estraneo. Mantengo la calma di solito, anche quando potrei giocarmi la carta della cliente che ha sempre ragione. Mi concentro piuttosto sull’obiettivo, sdrammatizzo, ringrazio e cerco di entrare nelle simpatie anche dell’esercente più scontroso.
Sicuramente stavolta partivo già un po’ stanca a causa di una settimana di rimpallo di responsabilità tra negozio e call center. Ma i nervi erano ancora saldi, giuro. Poi purtroppo il king della parola giusta al momento giusto ha pronunciato frasi come “ma io che ne so se il collega le ha detto questo, sono il collega io?” oppure “vuole che mi inventi una scusa su un problema tecnico o le basta sapere che se so’ scordati?” e ancora “se non ci capiamo è meglio che mi metta a parlare con suo marito”.
Io non te lo dico quello che gli ho urlato in faccia in quei due metri quadri scarsi di negozio, anche perché non me lo ricordo benissimo. So che ho urlato, so che non ho usato turpiloquio o insulti, so che da un certo punto in poi ho iniziato a ripetere nevroticamente “ecco, questa frase non si può dire a una cliente”, “ecco, questa frase mi fa infuriare”; “ecco, questa frase è inaccettabile”.
So che non ho vinto lo scontro ma Marito ha molto apprezzato l’intrattenimento offerto da una me mai emersa in oltre 10 anni di relazione.
Il consiglio prezioso
Learning by doing: Esercitati nel perdere la pazienza perché è un’arte che non si improvvisa.
Riflettevo
Ho anche inaugurato con un amico un nuovo format di telefonate in cui ci raccontiamo solo brutte notizie. La cugina di Tizio non sta bene, Caio si è operato, Sempronio è in ospedale.
Questa ondata di negatività è stata innescata da un evento che mi ha fatto male: è morta Françoise Cactus, la cantante degli Stereo Total, e questa morte per me è un disastro vero. Non ho mai grandi reazioni di fronte alle scomparse degli artisti, anche di quelli che apprezzo e a cui sono affezionata. Sono in grado di riconoscere l’evento come distante e per questo il colpo è sempre contenuto.
In questo caso è diverso, sento di perdere qualcosa di mio e forse mi perdo proprio un po’ io.
Si recide non solo il legame con la musica che ho ascoltato per tanti anni ma si sfilacciano anche i legami che ho grazie a quella musica. Il legame con alcuni locali di Roma, il legame con Praga e Parigi, il legame con alcuni ricordi e con una parte di me a cui sono particolarmente affezionata. Quella che ad ogni concerto è stata puntualmente invitata sul palco a cantare L’amour à trois, grazie a quello che Marito definisce un fluido mesmerico tra me e la band o, più verosimilmente, grazie alle gomitate che Franco riservava agli altri fan.
E c’è da preservare questo legame con Franco appunto, l’amico con cui ho fatto la groupie per tutti questi anni. E, se ora ci trastulliamo con telefonate al limite del cringe e progetti di pellegrinaggi commemorativi, è importante comunque ricordarci che siamo stati (e quindi forse resteremo sempre) i due mattacchioni in foto.
Come se fosse lunedì
Il proposito che ho rimandato la settimana scorsa
Devo chiudere, finire e concludere se voglio poi aprire e ripartire.
Visto letto sentito 🙈🙉🙊
Stereo Total
Non ti parlo di quello che ho visto, letto, sentito in questa settimana. Ti parlo di quello che ho sentito e risentito negli anni.
Gli Stereo Total appunto. Perché magari tu non li conosci o se li conosci (e mi conosci) sai che quest’ode alla mia gioventù, che è appena finita, è più che giustificata.
Françoise Cactus e Brezel Göring si conoscono nel 1993 a Berlino e pubblicano il loro primo album, Oh Ah, nel 1995. Io li ho conosciuti e iniziati ad amare più tardi, nel decennio 2000-2010, periodo in cui si sono affermati nei circuiti indipendenti.
Il duo franco-tedesco ha inciso diversi album, utilizzato diversi strumenti e cantato in diverse lingue (Francese, Inglese e Tedesco sì, ma anche Italiano, Spagnolo, Giapponese).
Nei testi hanno messo sempre molta ironia, nella musica, rigorosamente allegra, nostalgia per il passato, il pop e gli anni ‘60.
Tra le loro canzoni più famose (mai esageratamente famose) ti cito di nuovo per infinito affetto L’amour à trois (mio cavallo di battaglia come ti dicevo), poi I love you Ono, Wir tanzen im 4eck, Moviestar (altra mia improbabile performance a Praga), Musique automatique, Do the bambi, Das erste mal.
Hanno anche composto le musiche di alcuni film tra cui il soft porn Underwater Love, di cui non ho capito una singola scena ma che ho comunque apprezzato per gusto dell’assurdo e attaccamento alla maglia.
Françoise, meravigliosa anti-diva con il suo quadernino di appunti e la sua scarsa pazienza, ora non c’è più e io penso a lei, a Brezel, a me, a Franco (e insieme a noi Edo) e a tanto che mi mancherà.
Perché mi mancherà tanto.
Pinkabbestia
Solo qualcosa di rosa
Du spicci
Hai detto animalier?
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Guilty Pleasure
Grazie agli Stereo Total questa mia settimana è stata all’insegna della nostalgia. E se la nostalgia non è un guilty pleasure ha comunque un sapore molto simile. Ti trattiene anche se opponi un po’ di resistenza. Alle volte invece sei tu a cercarla pur con un certo pudore. Altre volte invece ti ci immergi completamente e abbandoni ogni freno per affondare in questa condizione straziante e dolcissima.
È un medico svizzero, Johannes Hofer, a coniare il termine nel diciassettesimo secolo per definire uno stato patologico che colpiva i mercenari svizzeri costretti a combattere lontani da casa. Nel tempo il disturbo è stato trattato con le più sadiche forme di cura.
Ma fortunatamente la nostalgia ha poi cambiato connotazione, abbandonando lo status di malattia, per assumere la veste più ragionevole di emozione naturalissima e allo stesso tempo alta, poetica.
E la nostalgia è stata salutare per me in questi giorni, perché avevo proprio l’esigenza di indugiare nei ricordi e affrontare così anche il bello delle cose che non tornano più. Pensare che quelle cose ci sono, anche se non ci sono più, perché ci sono state.
E non è campata in aria l’idea che la nostalgia faccia bene e che ci consenta di approcciare al futuro con più coraggio. Le persone dall’indole nostalgica sarebbero infatti meno spaventate dalla morte e dalla paura di restare sole.
Ma la nostalgia è diventata ultimamente anche una sorta di manifesto culturale. Dalle serie tv (vedi Stranger Things o Cobra Kai) ai film, alla musica, alla moda, ogni occasione è buona per farci rituffare nell’infanzia o nell’adolescenza, stadi dai quali poi all’epoca avevamo fatto grandi sforzi per uscire.
E sì, non ti faccio mancare la considerazione di come in un periodo di isolamento come questo, o nei periodi di crisi in generale, la nostalgia per tempi migliori sia la reazione più ovvia che ci si possa aspettare.
Quello che non ho ritenuto ovvio, ma solo perché non ci avevo riflettuto con attenzione, è che tendiamo a dare per scontato che la nostalgia si possa provare solo per sensazioni o eventi vissuti in prima persona. E invece no, puoi provare nostalgia per un periodo che non hai vissuto, per un immaginario che non ha alcuna relazione concreta con il tuo passato.
A me ad esempio capita con la musica anni ‘50-’60. E mi scalda il cuore pensare che magari qualcuno la proverà tra altri 50 anni ascoltando gli Stereo Total.
Saluti
Questa newsletter è una velleità e, visto che anche le velleità quando spariscono lasciano un vuoto, proviamo a dar loro il giusto peso, che non deve essere marginale, anzi.